
di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Lo shutdown federale ha lasciato milioni di americani nell’incertezza. Gli uffici pubblici chiusi, i parchi serrati, i tribunali rallentati, centinaia di migliaia di dipendenti senza stipendio. Non è la prima volta che accade: negli Stati Uniti lo shutdown scatta quando il Congresso non trova l’accordo per finanziare le attività federali. Ma questa volta c’è di più. La Casa Bianca non si limita a gestire l’emergenza: la usa come arma politica. Il direttore del bilancio, Russ Vought, ha chiesto ai ministeri di preparare piani di licenziamento permanente per i programmi non allineati alle priorità del presidente. Una strategia che va oltre i normali stop temporanei: è un messaggio politico, mostrare che lo Stato può essere smontato pezzo per pezzo. I repubblicani accusano i democratici di voler regalare assistenza sanitaria ai migranti irregolari; i democratici replicano che è una menzogna e che la loro proposta riguarda solo cittadini americani a basso reddito.
Nel frattempo, però, le famiglie senza stipendio sono reali, così come i tagli ai programmi sociali. E gli elettori? Potrebbero vendicarsi nel 2026, ma ancora non è chiaro contro chi: i repubblicani che hanno spinto al muro o i democratici accusati di intransigenza? Eppure, lo shutdown non è stato l’unico segnale preoccupante della settimana. Anzi, l’episodio che più ha colpito l’opinione pubblica è stato un altro: la convocazione straordinaria di centinaia di generali e ammiragli da tutto il mondo in Virginia, riuniti dal segretario alla Difesa Pete Hegseth per ascoltare lui ma soprattutto il presidente. Quello che doveva essere un discorso sulla sicurezza nazionale si è trasformato in un’ora di frasi sconnesse, battute inappropriate e minacce velate. Trump ha persino affermato che le città americane “più violente”, cioè quelle secondo lui in larga parte governate dai democratici, dovrebbero diventare campi di esercitazione per l’esercito. Una dichiarazione che ha fatto rabbrividire: usare i quartieri delle grandi metropoli come scenario di guerra interna?
Alcuni ufficiali presenti hanno smesso di prendere appunti, altri hanno scambiato sguardi increduli. Quando il presidente ha scherzato che chi non applaudiva rischiava la carriera, il gelo si è fatto palpabile. Non era un comizio, era il comandante in capo che parlava ai vertici militari più potenti del pianeta. È qui che nasce la domanda cruciale: Trump è ancora in grado di guidare le Forze Armate e il Paese per altri tre anni e mezzo? Sempre più spesso appare stanco, sconnesso, incapace di concludere un discorso con coerenza. Non si tratta più solo di polemica politica: si discute apertamente della sua salute e della sua capacità di governare. Il governatore dell’Illinois, il democratico Pritzker, ha evocato il 25° emendamento della Costituzione: una norma che permette al vicepresidente e alla maggioranza del gabinetto di dichiarare il presidente incapace di svolgere le sue funzioni, trasferendo i poteri al vicepresidente. Una procedura estrema, mai applicata, ma che ora non è più tabù.
Forse non è un caso che, proprio nel primo giorno dello shutdown, alla Casa Bianca davanti ai giornalisti non si sia presentato Trump, ma il vicepresidente J.D. Vance. Una scelta che molti hanno letto come prova generale di successione. Paradossalmente, sul fronte internazionale Trump incassa l’unico successo della settimana: il piano per Gaza, elaborato dal genero Jared Kushner con il sostegno della fondazione di Tony Blair, ha ricevuto l’assenso d’Israele e il via libera da diversi Paesi arabi. Anche Hamas, seppur divisa al suo interno, sembra costretta a prendere in considerazione la proposta. L’ipotesi che il presidente americano riesca a portare pace in Medio Oriente non è più fantascienza. Ma la contraddizione resta: mentre lavora per fermare le guerre fuori, Trump alimenta la guerra dentro. Ha definito gli oppositori “the enemy within” (nemici interni), ha lanciato campagne di intimidazione contro giudici, giornalisti e avversari politici, e ora immagina persino le città americane come teatri di addestramento militare.
E allora la domanda resta: chi sarà davvero al comando degli Stati Uniti nei prossimi mesi? Un presidente sempre più fragile e sconnesso, o un vicepresidente che questa settimana è apparso già pronto a prendere il timone? Intanto, se in Medio Oriente la pace forse avrà una chance grazie all’America di Trump, la minaccia di conflitto sembra crescere proprio dentro l’America.
– Foto IPA Agency –
(ITALPRESS).