Gioie e dolori del Trump d’Arabia e anti-Costituzione

di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Questa settimana ci muoviamo tra il deserto e la Corte Suprema, tra i fasti del viaggio in Medio Oriente di Donald Trump e il caos costituzionale che continua a generare in patria. Gioie e dolori, successi diplomatico-commerciali e conflitti giudiziari che potrebbero cambiare per sempre il volto degli Stati Uniti d’America. Partiamo dal viaggio del presidente Trump nella regione del Golfo. Ufficialmente una missione diplomatica per sostenere la stabilità regionale, ufficiosamente una tournée d’affari che ha portato, questo sì, risultati concreti. In Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar, Trump ha siglato accordi miliardari su energia, infrastrutture e difesa, rafforzando la tradizione americana di vedere nel Golfo non solo una polveriera geopolitica, ma anche e soprattutto un mercato fertile.

Eppure, anche sul piano diplomatico, l’outsider Trump ha colpito ancora. Con il suo stile imprevedibile, sfrontato, a tratti teatrale, l’ex presidente è riuscito dove molti suoi predecessori avevano fallito: ha trovato una via d’uscita per rimuovere alcune sanzioni alla Siria – legittimando il nuovo presidente Ahmed al-Sharaa, figura tuttora controversa per il suo passato di ex alleato di Al Qaeda – e, ancora più clamoroso, ha rilanciato i canali diretti con l’Iran che potrebbero portare a un nuovo accordo sul nucleare. Secondo fonti vicine alla Casa Bianca, l’intesa potrebbe essere annunciata già nelle prossime settimane, con grande sorpresa di una comunità internazionale che ancora non sa come reagire al ritorno del Trump “deal maker”. Ma mentre Trump conquista il Golfo a colpi di business e diplomazia da cowboy, negli Stati Uniti torna a far discutere un suo vecchio pallino: cancellare la cittadinanza automatica per i bambini nati negli USA da genitori immigrati privi di cittadinanza o green card. Un ordine esecutivo che Trump ha firmato il primo giorno del suo secondo mandato e che ora è finito davanti alla Corte Suprema.

La Corte, durante un’udienza tesa e divisiva durata oltre due ore, ha ascoltato gli argomenti sull’uso delle ingiunzioni nazionali da parte dei tribunali inferiori, come quella emessa da una giudice federale del Maryland che ha bloccato l’ordine di Trump su tutto il territorio americano. L’amministrazione sostiene che tali ingiunzioni siano eccessive, che limitino il potere esecutivo e che dovrebbero valere solo per i ricorrenti specifici. Ma, come hanno fatto notare diversi giudici liberali, la questione vera è che l’ordine di Trump viola oltre un secolo di giurisprudenza della Corte stessa, andando contro il XIV Emendamento e creando – se applicato – una generazione di bambini senza cittadinanza. “Vedo violati almeno quattro precedenti storici”, ha detto la giudice Sonia Sotomayor. “Questo ordine è un attacco diretto alla definizione stessa di cosa significhi essere americano.”

Il governo ha cercato di sviare, concentrandosi più sulla questione tecnica delle ingiunzioni che sul merito costituzionale. Ma la posta in gioco resta enorme. Se la Corte dovesse accogliere la richiesta dell’amministrazione e limitare le ingiunzioni, l’ordine di Trump potrebbe entrare in vigore in 28 Stati, creando una situazione drammatica e confusa: neonati senza status legale, privati di documenti, cure mediche, accesso a scuole e persino a vaccini. E come ha avvertito l’ex consigliera per l’immigrazione di Obama, Andrea Flores, il rischio più inquietante è che si crei un sottoproletariato di bambini “senza Stato”, facilmente deportabili o, peggio ancora, affidabili a paesi terzi che accetterebbero di “ospitarli” a pagamento. Un’ombra inquietante che richiama scenari da stati autoritari più che da una democrazia liberale.

In conclusione, mentre Trump raccoglie applausi e contratti in Medio Oriente, negli Stati Uniti si gioca una partita ancora più pericolosa per la tenuta costituzionale e democratica del Paese. La domanda che aleggia nei corridoi della Corte Suprema – e che alcuni giudici come Ketanji Brown Jackson hanno posto senza giri di parole – è semplice: Il presidente può comportarsi come un re? Se la Corte dovesse rispondere sì, la Costituzione americana rischierebbe di essere riscritta con un tratto di penna e un tweet. In questa settimana dunque, vediamo il Trump globale esultare per affari e accordi, mentre il Trump domestico continua a sfidare la legalità, le istituzioni e il concetto stesso di cittadinanza americana. Un gioco ad alto rischio che potrebbe segnare non solo il suo secondo mandato, ma il futuro degli Stati Uniti.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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