Trump all’assalto dello stato di diritto e del sapere

di Stefano Vaccara NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Negli Stati Uniti, la battaglia tra lo stato di diritto e un presidente che ormai sembra puntare apertamente a un modello autoritario continua. Partiamo dai dazi: la strategia economica di Trump – fatta di minacce commerciali e tariffe punitive – è stata colpita al cuore da una corte federale.

I giudici della U.S. Court of International Trade hanno stabilito che il presidente non può usare l’International Emergency Economic Powers Act per imporre dazi su praticamente ogni Paese del mondo. Una sentenza storica. Nella decisione, la corte ha scritto che il presidente non ha un “potere illimitato” in materia di tariffe, e ha ordinato alla Casa Bianca di interrompere la raccolta dei dazi entro dieci giorni.

Ma l’amministrazione si è subito appellata alla Corte d’Appello Federale, che ha concesso una sospensione temporanea. Quindi per ora, i dazi – anche quelli contro Cina, Canada, Messico – restano in piedi.

La Casa Bianca ha definito la sentenza un “errore legale pieno di falle” e ha chiesto l’intervento urgente della Corte Suprema. Karoline Leavitt, la portavoce presidenziale, ha addirittura accusato i giudici di “abuso sfacciato del potere giudiziario”. Intanto, un’altra causa – presentata da un’azienda di giocattoli dell’Illinois – ha ottenuto un’ingiunzione preliminare contro i dazi di Trump.

Il giudice federale Rudolph Contreras ha dichiarato che la legge invocata da Trump “non è una legge tariffaria”. Anche qui, la misura è sospesa per 14 giorni, ma il messaggio è chiaro: la legalità sta riaffermando i suoi confini. Queste sentenze potrebbero far crollare il tasso effettivo dei dazi dal 18% al 7% – il livello più alto dal 1969, ma comunque un ridimensionamento importante. Secondo Ernie Tedeschi, economista della Yale Budget Lab, l’impatto potrebbe ancora essere “sostanziale” per consumatori e crescita economica.

E mentre il presidente combatte contro i giudici, la sua guerra contro il sapere accademico va avanti. La battaglia con Harvard è ormai totale. Dopo settimane di scontri verbali, il presidente ha accusato l’università più prestigiosa d’America di essere diventata “un covo di estremisti antiamericani”.

In risposta alle proteste studentesche per Gaza e alle critiche sulle politiche migratorie, la Casa Bianca ha sospeso l’ammissione di studenti stranieri a Harvard per “motivi di sicurezza nazionale”. Una misura senza precedenti, condannata dalla American Association of Universities e criticata perfino da alcuni senatori repubblicani. L’amministrazione ha promesso ulteriori indagini fiscali e tagli federali alle università che “non promuovono i valori patriottici”.

La campagna trumpiana contro l’autonomia delle istituzioni accademiche è parte dello stesso disegno: piegare le istituzioni che fanno da contrappeso al potere presidenziale. Università, giudici, media: ogni voce indipendente viene messa nel mirino.

Giovedì, durante la cerimonia di laurea ad Harvard, il presidente Alan Garber è stato accolto da un lungo applauso dagli studenti per la sua fermezza nel non cedere a Trump. Pochi giorni prima, alla Columbia, la presidente ad interim Claire Shipman è stata invece contestata con fischi e cori per la sua sottomissione.

Intanto crescono le tensioni tra l’uomo più potente del mondo e quello più ricco: Elon Musk ha annunciato che trasferirà definitivamente tutte le sue attività strategiche fuori da Washington. In un post notturno, il fondatore di Tesla e Space X ha scritto che “non è più possibile operare in un ambiente in cui le regole cambiano secondo l’umore del presidente”.

Ha accusato l’amministrazione di ostilità politica, interferenze fiscali e minacce indirette contro le sue aziende. Secondo fonti del Wall Street Journal, Musk starebbe spostando l’intero settore di ricerca sull’intelligenza artificiale in Texas, mentre le trattative con il Pentagono su progetti satellitari sono ormai congelate.

Che un miliardario controverso come Musk preferisca ritirarsi dalla capitale federale piuttosto che scontrarsi con Trump dice molto del clima che si respira a Washington. Questa settimana una nuova serie di “perdoni presidenziali” sarebbero stati concessi in cambio di donazioni politiche o favori economici.

Il Washington Post e ProPublica parlano di “clemenza venduta”. Trump, naturalmente, nega tutto. Intanto, Trump guarda all’estero in cerca di buone notizie ma non ne trova. Putin lo ignora e Netanyahu lo mette in imbarazzo. Nessuna concessione da Mosca sull’Ucraina, semmai altre bombe.

E da Israele, il premier ha definito “interferenze non gradite” le pressioni americane per un cessate il fuoco a Gaza. Per Trump, abituato a imporsi, è uno smacco. Il tutto in una nazione dove la Corte Suprema, dominata da giudici conservatori, potrebbe presto essere chiamata a decidere se il presidente può davvero aggirare il Congresso, i tribunali e perfino la Costituzione. La democrazia americana, una volta simbolo di stabilità nel mondo, resta al bivio.

– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS)

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