“Re” Donald tra guerra, pace e rivoluzione

di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – C’è stato un bombardamento. Poi una tregua. Poi Trump è volato al vertice NATO tra baci e abbracci. Ma la vera domanda resta: può un presidente bombardare un Paese sovrano senza informare il Congresso? E perché a New York un 33enne socialista ha appena terremotato il Partito Democratico? Proviamo a capirlo. Sabato notte, mentre l’America dormiva, sette B-2 decollavano dal Missouri per colpire tre siti nucleari iraniani. La mattina dopo, la Casa Bianca informava…solo i leader repubblicani. Il Congresso? Mai consultato. Il problema non è solo il bersaglio – è il processo. Trump ha ordinato un bombardamento senza autorizzazione legislativa, senza dibattito pubblico, senza controllo. Come ha scritto Lydia Polgreen sul New York Times: “Trump non solo si comporta da re, ma non nasconde neppure di volerlo essere”.

Due settimane fa, milioni in strada contro “i Kings”, per difendere libertà civili e Costituzione. Ma già prima, Trump aveva scatenato gli agenti dell’ICE mascherati, che prelevavano migranti davanti ai figli in lacrime, e inviato i Marines a Los Angeles contro la volontà del governatore. Poi, come se nulla fosse, bombarda l’Iran. E subito dopo firma la tregua. Paradosso? No, copione. Si presenta come “uomo di pace” dopo aver acceso la miccia. Risultato? Al vertice NATO in Olanda, accolto come un Cesare. Tutti promettono il 5% del PIL in spese militari. Tutti tranne uno: il premier spagnolo Sßnchez. L’unico rimasto in piedi. Intanto, mentre ci si divide su quanto sia stato danneggiato davvero il programma nucleare iraniano, Trump continua a cambiare le regole del gioco. Ogni azione e reazione – un attacco militare, un leak dal Pentagono, le minacce contro CNN e New York Times – ha un solo obiettivo: concentrare potere, disattivare i freni democratici. Le polemiche che ne seguono non sono effetti collaterali: sono strategiche. Alimentano lo scontro e distraggono dal punto centrale.

Il vero vuoto è quello della legge, ormai marginalizzata, spesso ignorata. La Costituzione esiste ancora, certo. Ma è come una sirena spenta: non chiama più nessuno. Ironia della storia: proprio nella settimana in cui Trump ordinava l’attacco all’Iran, a New York si celebravano gli 80 anni della Carta dell’ONU – il patto che avrebbe dovuto bandire per sempre la guerra come strumento politico. E mentre a Washington Trump si fa sempre più “re”, a New York esplode un terremoto. Zohran Mamdani, 33 anni, socialista, musulmano, figlio di migranti indiani arrivati dall’Africa, ha battuto Andrew Cuomo alle primarie democratiche per la corsa a sindaco. Ha vinto parlando di case, trasporti gratuiti, congelamento degli affitti e “una città che possiamo permetterci”. Mamdani non è solo un outsider: è l’inizio di una rivolta generazionale. I giovani democratici non vogliono più manager prudenti: vogliono trasformatori.

Mentre Mamdani camminava da un capo all’altro di Manhattan, Cuomo evitava i giornalisti e si aggrappava agli endorsement di Bill Clinton. Risultato? Uno tsunami politico. E le onde sono arrivate ben oltre l’Hudson. Anche in politica americana vale la legge della fisica: a ogni avanzata autoritaria, prima o poi arriva una forza uguale e contraria. Finora i Democratici avevano risposto a Trump con inerzia. Mamdani è la prima vera reazione. Ma il partito di FDR e JFK – oggi sempre più identificato con l’establishment – è ora a un bivio: difendere un ordine che Trump ha già colonizzato, o rappresentare davvero chi chiede un nuovo New Deal e una Nuova Frontiera. Nel frattempo, il Senato si prepara a votare la “Big Beautiful Bill”, la legge-faro dell’agenda trumpiana.

Un pacchetto gigantesco di riforme su tasse, welfare, giustizia, immigrazione – approvato a fatica dalla Camera – che potrebbe consacrare Trump sovrano normativo. Alcuni senatori repubblicani esitano: temono, a microfoni spenti, di trasformare il Congresso in un notaio del potere esecutivo. Se la legge passa, Trump non controllerà solo il governo: riscriverà le fondamenta stesse dello Stato. Nel frattempo, bombarda, minaccia, impreca. Contro l’Iran, contro Israele, contro la stampa. Poi si proclama vincitore della pace, anche se ha ottenuto solo una tregua instabile e indefinita. E mentre la Corte Suprema – che ha già autorizzato la deportazione di migranti verso Paesi terzi come il Sud Sudan, in pieno caos – si prepara a nuove decisioni chiave, la posta in gioco va oltre ogni sentenza o voto: è la forma stessa del potere in America che si sta trasformando. Così già da qualche settimana la domanda in sospeso resta la stessa: l’America è ancora una democrazia funzionante? O è già diventata un trono travestito da repubblica?

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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