di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Questa settimana, mentre i negoziatori di Israele e Hamas cercavano di trasformare in tregua stabile il cessate il fuoco mediato da Washington, Donald Trump ha moltiplicato gli sforzi per farsi riconoscere come artefice della pace nel mondo. Il Wall Street Journal e il New York Times confermano che la pressione esercitata da Trump su Benjamin Netanyahu è stata decisiva “fino a rendergli impossibile rifiutare” la proposta americana. Ma la domanda resta: perché solo ora? Quante vite si sarebbero potute salvare se quelle stesse pressioni fossero state fatte sei mesi fa? Mentre il presidente cerca il Nobel per la pace all’estero, in patria scatena la guerra. Dopo Los Angeles e Portland, questa volta è toccato a Chicago.
Con la giustificazione di “proteggere” le strutture federali e le operazioni dell’ICE, Trump ha ordinato l’invio di centinaia di soldati della Guardia Nazionale del Texas in Illinois, contro la volontà del governatore democratico J.B. Pritzker. È la stessa logica usata in estate contro Gavin Newsom in California: creare il caos per poter intervenire da “salvatore”. Giovedì però è arrivato un colpo inatteso. Una giudice federale di Chicago, April M. Perry, ha emesso un ordine temporaneo che limita l’operato delle truppe federali nello Stato, definendo “semplicemente inaffidabili” le versioni fornite dal governo e sottolineando che non esiste “alcuna prova credibile di una ribellione in corso”. È un precedente importante, la magistratura mette un argine alla militarizzazione interna decisa dalla Casa Bianca. Dietro la scusa della sicurezza, secondo Pritzker si nasconde un disegno politico: abituare gli americani a vedere i soldati per le strade, per preparare il terreno a un clima di intimidazione in vista delle elezioni di Midterm del 2026.
Secondo il governatore dell’Illinois, Trump non vuole ordine: vuole obbedienza. E la forza armata, in questa narrazione, diventa lo strumento per umiliare i governatori democratici e consolidare l’immagine di un capo disposto a tutto pur di mantenere il controllo. Ma la guerra di Trump non si combatte solo nelle strade: è arrivata anche nei tribunali. Giovedì la procuratrice generale di New York, Letitia James, è stata incriminata con due capi d’accusa – frode bancaria e false dichiarazioni – dalla stessa procuratrice federale Lindsey Halligan che poche settimane fa aveva incriminato l’ex direttore dell’FBI James Comey. In entrambi i casi, i procuratori di carriera avevano concluso che non c’erano prove sufficienti per procedere. Poi Trump ha licenziato il capo dell’ufficio di Alexandria, in Virginia, e ha nominato proprio Halligan, sua ex collaboratrice, senza alcuna esperienza da procuratrice.
E come se non bastasse, l’Attorney General Pam Bondi si è presentata in audizione al Congresso sfidando apertamente i legislatori. Ha rifiutato di rispondere alle domande sull’inchiesta Epstein e sulle interferenze presidenziali, arrivando ad accusare alcuni deputati su altre questioni. Un comportamento mai visto da un capo della giustizia americana, che ha trasformato un’audizione parlamentare in un atto di sfida politica. La giustizia americana si sta trasformando in un’arma di vendetta. Quasi lo stesso schema dei grandi processi di Mosca negli anni Trenta, quando Stalin usava la giustizia come strumento di terrore: creare un nemico, istruirne il processo, mostrare al popolo la punizione come monito. Oggi negli USA la pena non è la fucilazione ma la distruzione pubblica. L’obiettivo non è solo eliminare gli avversari, ma insegnare agli altri a tacere.
Intanto, a Washington, il Paese è fermo. Lo shutdown è entrato nella sua seconda settimana e i democratici resistono, non solo per difendere i sussidi sanitari dell’Obamacare, ma perché – come ha scritto il New York Times – temono di “finanziare un presidente che ormai non riconosce più limiti legali o istituzionali”. Trump ignora i vincoli di spesa decisi dal Congresso, minaccia di licenziare migliaia di dipendenti federali, usa l’esercito e la burocrazia come armi politiche.
“Non è un negoziato sul bilancio – ha detto il senatore indipendente del Vermont Bernie Sanders – è una battaglia per l’anima della democrazia americana”. Ecco perché lo scontro sullo shutdown e quello sulla Guardia Nazionale sono due facce della stessa crisi: un presidente che governa come se il Paese fosse il suo campo di battaglia personale.
Un presidente che sogna di essere incoronato uomo di pace mentre semina divisione, paura e sospetto tra gli americani. Trump porta la pace fuori, ma prepara la guerra dentro.
-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).