di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Ogni volta che pensi di aver capito la direzione di Donald Trump, lui cambia bersaglio. È come inseguire un’ombra che si moltiplica. Un giorno annuncia un accordo storico con la Cina, e poche ore dopo minaccia di riprendere i test nucleari. Mentre all’estero si presenta come l’uomo che tratta da pari con Xi Jinping, in casa prepara un’America pronta alla guerra contro sé stessa. Iniziamo con la notizia che il Pentagono sta addestrando una nuova “forza d’emergenza” della Guardia Nazionale: oltre 23 mila militari destinati al controllo delle folle nelle città americane. È la prima volta che un presidente ordina la creazione di un’unità permanente per l’ordine pubblico, con equipaggiamento antisommossa. Non per un uragano o un disastro naturale: ma per “proteste civili”. Entro il primo gennaio 2026, ogni Stato dovrà fornire almeno 500 soldati. E tutto questo avviene mentre il Congresso è paralizzato dal prolungato shutdown, con stipendi bloccati e agenzie federali chiuse.
Trump dice di voler “ristabilire l’ordine”. Ma quale ordine? L’ordine dell’obbedienza cieca? Quello in cui i militari vengono inviati contro i cittadini che protestano? Non è un caso che molti giuristi abbiano ricordato come questo piano richiami, più che la Costituzione, l’ombra di uno Stato di polizia. E come se non bastasse, proprio nel giorno in cui gli Stati Uniti discutevano il film Netflix A House of Dynamite – una storia che immagina un missile nucleare in arrivo su Chicago e una Casa Bianca che ha solo 18 minuti per reagire – il presidente Trump ha deciso di riaccendere davvero la miccia nucleare. Ha ordinato la ripresa dei test atomici, sospesi dal 1992. Ha detto che “altri Paesi li stanno già facendo”. Ma non è vero. Né la Russia né la Cina hanno effettuato test esplosivi da decenni. L’unico Paese che lo ha fatto negli ultimi venticinque anni è la Corea del Nord, e l’ultimo test risale al 2017.
Il Cremlino ha reagito definendo “incomprensibile” la mossa americana e ha avvertito che “agirà di conseguenza” in caso di violazione della moratoria. Pechino ha invitato Washington a “rispettare seriamente il divieto globale dei test nucleari”. L’ONU ha ricordato che “i test nucleari non devono essere consentiti in nessuna circostanza”. Ma a Trump tutto questo non importa. Perché ciò che conta non è la coerenza, ma la provocazione. E mentre annuncia nuovi test, dice anche di voler “parlare con Russia e Cina per ridurre le armi nucleari”. Un messaggio che confonde, spaventa e disorienta: proprio come lui vuole.
All’estero, Trump si mostra come il leader che tratta con i potenti. L’incontro con Xi a Busan – durato meno di due ore – gli è bastato per dichiarare “un grande successo”. La Cina, dice, riprenderà ad acquistare soia americana e collaborerà per frenare il traffico di fentanyl. Ma mentre parla di “prosperità reciproca”, a casa sua lascia un Paese sull’orlo dell’implosione.
Perché in America, il clima è quello di una miccia accesa. Le tensioni con governatori e sindaci democratici – da Chicago a Portland, da Los Angeles a San Francisco – sono ormai sistemiche. E ora, secondo i sondaggi, New York, potrebbe eleggere per la prima volta un sindaco socialista e musulmano, Zohran Mamdani. Un simbolo politico che Trump non potrà ignorare, e che è già diventato un bersaglio della sua retorica incendiaria.
Nel frattempo, sul fronte estero, crescono le tensioni con il Venezuela e la Colombia dopo una serie di attacchi missilistici a imbarcazioni sospette nel Pacifico, operazioni coperte dal massimo segreto e condotte senza informare il Congresso. I democratici parlano di “abuso di potere militare” e chiedono chiarezza sul numero reale delle vittime. E poi c’è il caso Epstein, che continua a bruciare sotto la superficie. Le vittime hanno scritto allo Speaker repubblicano Mike Johnson, chiedendo che venga fatta giurare la deputata democratica eletta in Arizona, Adelita Grijalva, così da poter finalmente votare il rilascio integrale dei documenti del caso. Ma la leadership repubblicana frena, teme l’effetto domino.
Anche qui, Trump tace. Ma il suo silenzio pesa come un presagio. Più i suoi alleati si chiudono a riccio, più cresce l’impressione che qualcosa debba essere nascosto. Ecco allora il paradosso di questa America 2025: un Paese dove ogni settimana si apre un nuovo fronte – militare, politico, morale – e dove tutto ruota intorno a un uomo che non tollera di essere contraddetto. Ogni suo annuncio, ogni tweet, ogni ordine esecutivo sembra pensato per portare il Paese un passo più vicino al punto di rottura. Trump è diventato il tic-tac costante di una bomba politica pronta a esplodere: nelle strade, nei tribunali, nel cuore stesso della democrazia americana.
-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).


 
 
 
 

 
 
