Il “Beautiful Bill” passa al Congresso e Trump festeggia

di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – “One Big, Beautiful Bill” è passato per un soffio alla Camera e Donald Trump lo ha celebrato come la legge più importante della storia americana. Ma dietro l’esultanza, c’è un prezzo altissimo: tagli brutali a Medicare e Medicaid, un buco da 2.700 miliardi nel deficit, e mercati in allarme. Il presidente è sceso in campo di persona, entrando a Capitol Hill per convincere gli ultimi repubblicani riluttanti. Il pacchetto fiscale include tagli alle tasse su mance e straordinari, detrazioni per chi compra auto americane e fondi per la militarizzazione del confine. Ma per finanziare tutto questo, Trump e i suoi tagliano l’assistenza sanitaria a milioni di americani: 700 miliardi in meno al Medicaid, quasi 500 al Medicare. Persino il programma SALT (per le detrazioni fiscali) viene modificato in modo da premiare le fasce di reddito medio-alte. Il Premio Nobel Paul Krugman lo ha definito “una legge fatta da sadici zombie”. Il leader democratico Hakeem Jeffries l’ha bollata come “tossica ed estremista”.

Intanto i mercati reagiscono con paura. I Treasury (titoli del Tesoro) a 30 anni toccano quasi il 5,15% di rendimento, il livello più alto dal 2007. E mentre gli analisti lanciano l’allarme sui conti pubblici, i sondaggi puniscono Trump: il 66% degli americani disapprova come sta gestendo l’economia. Ma ogni volta che una tempesta si sgonfia, Trump ne scatena subito un’altra. Stavolta ha preso di mira Harvard. Il Dipartimento per la Sicurezza Interna ha revocato all’università la certificazione per accettare studenti stranieri. Una mossa che colpisce direttamente il 27% degli iscritti e minaccia una delle principali fonti di entrate per l’ateneo. È l’attacco più grave all’autonomia accademica mai visto in epoca moderna: l’amministrazione vuole obbligare Harvard a riscrivere curriculum, politiche di ammissione e criteri di assunzione. L’università più autorevole d’America è pronta a tornare in tribunale.

Poi, come se non bastasse, Trump ha trasformato un incontro diplomatico con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa in un agguato mediatico. All’inizio sorrisi, golf e strette di mano. Poi, d’improvviso, nello Studio Ovale il presidente fa abbassare le luci e parte un documentario che denuncia il “genocidio dei bianchi” in Sudafrica. Trump lo ha usato per accusare Ramaphosa, mentre su Truth Social comparivano post che rilanciavano le “prove” dei presunti eccidi. Ramaphosa ha reagito, indicando i tre membri bianchi della sua delegazione e dicendo: “Se ci fosse un genocidio, questi tre non sarebbero qui”. Ma il momento che ha fatto il giro del mondo è stata la battuta del presidente sudafricano: “Mi dispiace, non ho un aereo da regalarti”. Un riferimento diretto al Boeing donato dal Qatar e accettato ufficialmente dagli Stati Uniti. Trump ha sorriso: “Se me lo offrissi, lo prenderei”. L’ironia di Ramaphosa ha messo in evidenza un sistema diplomatico dove, per farsi ascoltare, sembra serva un dono personale al presidente. Se non hai un aereo, porta almeno un diamante?

Nel frattempo, a Washington, è andata in scena la tragedia. Sarah Milgrim and Yaron Lischinsky, giovane coppia di funzionari dell’ambasciata israeliana, sono stati assassinati fuori dal Capital Jewish Museum. L’aggressore, Elias Rodriguez, ha urlato “l’ho fatto per Gaza” al momento dell’arresto. L’FBI ha aperto un’indagine per terrorismo interno e crimine d’odio. La reazione israeliana è stata immediata: “antisemitismo armato”. Negli USA il dibattito si fa sempre più difficile: come difendere la libertà d’espressione senza lasciare spazio alla violenza? E come se tutto ciò non bastasse, è riesplosa anche la faida Trump-Bruce Springsteen. Il presidente ha pubblicato su Truth Social un video in cui colpisce virtualmente il Boss con una pallina da golf. La risposta è arrivata con un EP live in cui Springsteen ridefinisce Trump “corrotto, traditore, autoritario”. In “Land of Hope and Dreams”, l’artista urla di nuovo, come aveva fatto nel concerto di Manchester: “L’America che amo è oggi nelle mani di un’amministrazione incompetente e traditrice”.

Sullo sfondo di tutto questo, la sensazione resta sempre la stessa. Ogni volta che una mossa di Trump scuote l’opinione pubblica, ne arriva subito un’altra – più grande, più sfacciata, più assurda. È un caos calcolato: l’indignazione non fa in tempo a esplodere che viene già travolta dall’esplosione successiva. E allora la domanda non è più “perché?” ma: cosa ci riserverà di peggio la prossima settimana? Nel reality show chiamato “America”, il copione lo scrive sempre lui. E noi? Saremo qui, puntuali a guardare la prossima puntata.

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(ITALPRESS).

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