Trump sbranato dal lupo? Dazi, costituzione e caso Epstein

di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – C’era una volta… il presidente dei dazi. Minacciava, sbraitava, alzava le tariffe al cielo e poi, quando arrivava il momento, si ritirava. Come nella favola del “lupo al lupo”. Peccato che il lupo, a forza di non arrivare mai, potrebbe presentarsi proprio ora, mentre Wall Street dorme. Donald Trump continua a usare i dazi non come vera politica economica, ma come strumento di pressione, di intimidazione, di negoziato. Una leva che funziona fino a quando i mercati non ci credono più. Infatti, ogni volta che Trump minaccia una nuova ondata di tariffe, gli investitori reagiscono con un’alzata di spalle: “Tanto non lo farà”. Ma se stavolta lo facesse? Il caso Brasile è emblematico. Trump ha minacciato un dazio del 50% sulle esportazioni brasiliane se Lula non “riabilita” Jair Bolsonaro. Altro che commercio: è politica estera travestita da protezionismo. È un ricatto. E lo schema si ripete: sanzioni a chi indaga Netanyahu, alla rapporteur dell’ONU Francesca Albanese, e minacce perfino alla Spagna se osa ridiscutere i suoi impegni NATO.

Il problema è che la legge non è chiara su quanto potere abbia davvero il presidente in materia di dazi. Il Congresso dovrebbe avere l’ultima parola, ma Trump sfrutta una legge d’emergenza del 1977 per far valere la sua volontà. Una corte federale ha già bocciato questa interpretazione, ma il caso è in appello e probabilmente finirà alla Corte Suprema. Fino ad allora, Trump continuerà a “negoziare” con la clava. Eppure, nel silenzio delle grandi banche e delle aziende, c’è un segnale che non può essere ignorato: se Trump decidesse davvero di alzare le tariffe al 50% – e magari contro l’Europa – i mercati che oggi scommettono sulla sua ritirata potrebbero precipitare.

Il modello Brasile potrebbe replicarsi con l’Europa? Persino con l’Italia di Meloni? È il metodo di Trump: usare il commercio per imporre la sua visione geopolitica. O ti allinei, o paghi dazio. Ma ci sono limiti che anche il presidente degli Stati Uniti non può ignorare. Questa settimana, un giudice federale del New Hampshire ha bloccato l’ordine esecutivo che intendeva negare la cittadinanza ai figli di migranti nati negli USA. Una decisione storica. Dopo che la Corte Suprema aveva limitato il potere dei giudici di emettere ingiunzioni nazionali, la sola via rimasta era certificare un’azione collettiva. E così ha fatto il giudice Laplante. Ha detto chiaramente: “Questa non è una decisione difficile”. Il diritto alla cittadinanza è sancito dal XIV Emendamento, ed è “il privilegio più grande che esista”.

Un colpo durissimo alla crociata anti-immigrati di Trump. Ma sarà questo a fermarlo? Forse no. Forse neanche i dazi, o i giudici, o la Corte Suprema. Ma c’è un altro fronte che dovrebbe preoccuparlo: Jeffrey Epstein. Sì, proprio lui, il miliardario pedofilo trovato morto in un carcere federale di Manhattan nel 2019, quando alla Casa Bianca c’era Trump. Dopo anni di promesse di trasparenza e giustizia, l’amministrazione, con la ministra della giustizia Pam Bondi – ha annunciato la chiusura definitiva del caso. Nessuna lista clienti, nessun complotto, nessuna rete di pedofili. Solo un suicidio. Fine della storia. Peccato che la base MAGA non ci stia. Tucker Carlson, Steve Bannon e, di nuovo, Elon Musk: tutti accusano Trump di insabbiamento nel caso Epstein.

Musk lo ha fatto nella stessa settimana del suo annuncio di voler lanciare un nuovo partito politico – The America Party. Stavolta non si tratta solo di complottismo marginale: l’irritazione attraversa il cuore della base, quella che credeva che proprio Trump avrebbe smascherato le élite compromesse con il pedofilo miliardario. Il fatto che, al contrario, la sua amministrazione abbia chiuso il caso senza rivelare alcuna lista di nomi e bollando tutto come “una perdita di tempo”, è per molti un segnale inquietante.

“Trump sta leggendo male la sua base”, ha scritto l’opinionista conservatrice Liz Wheeler. Per una volta, le contraddizioni del presidente non stanno scivolando addosso come sempre. Perché tanta fretta di chiudere un caso che avrebbe dovuto smascherare i “poteri oscuri”? Il sospetto è che Trump stia usando lo stesso metodo che ha applicato ai dazi: minacciare, promettere, poi tirarsi indietro. Ma stavolta non funziona. Stavolta anche la sua base vuole sapere. E se c’è una cosa che Trump non può permettersi è perdere la fiducia di chi, fino ad oggi, gli ha perdonato tutto.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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