Lavoro, shock da pandemia e auspicio per nuove politiche

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Ecco che conclusosi un anno, ne inizia un altro nuovo. In queste ore ognuno di noi augura ad amici e conoscenti un generico buon anno, che ognuno può declinare come meglio ritiene. Ma sono sicuro che se chiedessimo in particolare ad ogni cittadino quale sia il migliore augurio che davvero vuole che si realizzi, risponderebbe di preferire che il lavoro si possa ottenere al più presto qualora non si abbia, e di non perderlo se già lo si ha. A ben vedere, dall’inizio della pandemia ai giorni nostri, si son persi circa mezzo milione di occupati, che purtroppo vanno ad aggiungersi ai tanti altri persi nel decennio ultimo a causa della crisi del 2008, mai riassorbiti. Dunque una situazione molto critica che dovrebbe preoccupare non solo chi è nella triste condizione di disoccupato, ma anche ogni altra persona di buon senso. Occorrerebbe chiedersi: come si fa in queste condizioni a mantenere integra la coesione sociale? Come si potrà partecipare vantaggiosamente alla competizione di mercato? Come si fa a provvedere alla spesa pubblica? Come si fa a custodire tutto il sistema di sicurezza sociale? Interrogativi da far tremare i polsi; eppure nel paese da tempo, più che preoccuparsi di allestire un sistema solido e razionale per sviluppare, al massimo ci si preoccupa di ottenere una narrazione che riguardi non oltre la giornata che si sta vivendo. E intanto a marzo 2021 i disoccupati cresceranno ancora di più, con la caduta del blocco dei licenziamenti. Arriveremo a circa 3 milioni di disoccupati che confrontati ai 25 milioni di italiani che lavorano, significa che siamo alla constatazione terribile che più di una persona su dieci e’ involontariamente senza lavoro. Invece gli italiani in età di lavoro che sono disoccupati e neanche lo cercano, sono ben 13 milioni e cinquecentomila persone. Qualche altro milione e mezzo è assistito da cassa integrazione e da indennità di disoccupazione (pagati dai contributi di imprese e lavoratori), altri (la maggioranza) percepiscono il reddito di cittadinanza (pagati dagli italiani contribuenti con le tasse). Questo quadro pessimo, che peraltro persiste da anni, ha visto i governi nazionali e regionali più impegnati a produrre assistenza ai lavoratori e bonus per incentivi alle imprese per assumere, che a gestire tutti i fattori che portano posti di lavoro. I posti di lavoro infatti si ottengono con imprese che vivono in un paese ben organizzato con poche tasse, con trasporti efficienti, con istruzione e formazione di qualità, con giustizia rapida, infrastrutture valide e banda larga in ogni territorio, con pubblica amministrazione che agevola cittadini ed imprese, servizi comuni poco costosi e validi, con un debito pubblico meno condizionante la vita nazionale. Ecco! I posti di lavoro di qualità e in quantità vengono proprio ed esclusivamente dall’andamento di questi fattori. E allora un augurio mi piacerebbe fare agli italiani: che il prossimo anno si comprenda tutti, a partire dal governo nazionale e regionali, che il diritto naturale al lavoro può essere garantito alla sola condizione di occuparsi incessantemente degli aspetti sopra sottolineati. In modo tale che l’aspirazione al lavoro per ogni persona che ne ha diritto per ottenere autonomia per se stessi e per la propria famiglia per realizzarsi professionalmente possa concretizzarsi davvero. E per dirla con San Giovanni Paolo II: un uomo con il lavoro diventa più uomo. (ITALPRESS).

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