BARI (ITALPRESS) – “A Taranto c’è una situazione ambientale molto pesante, che non possiamo ignorare. In entrambi gli scenari oggi in discussione, sia quello con i forni DRI, sia quello senza, è inevitabile un periodo di transizione in cui continueranno a funzionare gli altiforni a ciclo integrale, che producono emissioni elevatissime. Va ricordato che la decarbonizzazione riduce le emissioni fino al 95%, il che significa che per almeno sette o otto anni, continueremo ad avere impianti che emettono quel 95% in più che la decarbonizzazione eliminerebbe. Questo legittimamente scatena la rabbia della popolazione di Taranto, che chiede la chiusura immediata delle fonti inquinanti. Ma chiudere subito le fonti inquinanti significa chiudere lo stabilimento, perché l’idea di fermare solo il reparto a caldo è irrealistica: l’impianto a freddo a Taranto è già fermo da anni. Dunque, chiudere a Taranto l’impianto a caldo equivale a chiudere l’intera fabbrica. Se l’intenzione fosse chiudere l’industria siderurgica di Taranto, sarebbe legittima, ma andrebbe affrontata come un vero piano industriale nazionale, complesso tanto quanto rilanciare lo stabilimento”.
Lo ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sull’incontro a Roma con i ministri Urso e Pichetto Fratin. “Finora, però, nessuna forza politica nazionale, nemmeno quelle più attive localmente contro l’accordo di programma, ha mai dichiarato che l’obiettivo è chiudere la fabbrica – prosegue – Alla luce di questo, stiamo lavorando per trovare un accordo realistico, che contempla due scenari principali: il primo, più solido industrialmente, con 3 o 4 forni DRI che gradualmente sostituiscano gli altiforni. Il secondo scenario, più debole dal punto di vista industriale, prevede solo forni elettrici. Entrambi gli scenari sono in discussione. È evidente che il sindaco appena eletto ha bisogno di ascoltare la sua comunità e capirne il sentimento. L’assurdo è che una questione così strategica per tutto il Paese, venga lasciata interamente sulle spalle degli enti locali. Il Parlamento tace, i partiti non si esprimono, e ci ritroviamo noi, da soli. La Regione Puglia si è presa le sue responsabilità. Io ci sto mettendo la faccia, anche a quattro mesi dalla fine del mio mandato, come se fossi stato appena eletto. Devo però riconoscere un’eccezione: il Partito Democratico, e in particolare la segretaria Elly Schlein, ci sta sostenendo nel percorso di decarbonizzazione, dandoci chiarezza su quello che dovrebbe essere il futuro industriale di Taranto”.
“Sarà proprio su questo tema che si capirà se le forze d’opposizione al governo saranno in grado di gestire le crisi industriali. Quando si cavalca l’onda, tutti sono capaci di trovare consenso, ma oggi si tratta di dire sì o no in una situazione difficile. E questa è anche una grande partita politica. Purtroppo, l’Italia sta ancora una volta scaricando su Taranto il peso del proprio futuro industriale, lasciando il sindaco da solo a dover spiegare ai suoi cittadini che, per altri 7-8 anni, dovranno convivere con fonti inquinanti. Nessuna scelta renderà Taranto soddisfatta. Qualsiasi scenario comporta anni di prosecuzione dell’attività a ciclo integrale, che produce impatti ambientali inevitabili. Ma la chiusura per implosione non può essere una scelta politica: significherebbe abbandonare un territorio vastissimo al degrado, all’inquinamento e alle malattie e questo non può essere accettato. Resta il tema energetico: per far funzionare la fabbrica servono quantitativi di gas che, ad oggi, non sembrano disponibili tramite strutture a terra (on-shore). Questa non è una condizione permanente: è possibile che, nel tempo, il gas possa arrivare da Tap o da altre infrastrutture” aggiunge Emiliano.
“Nel frattempo, se servisse gas in via transitoria, si è parlato di una nave rigassificatrice. Ma neanche al Ministero sanno con certezza se una nave del genere possa essere posizionata nel porto di Taranto secondo la normativa italiana. E considerata la presenza ravvicinata di due impianti industriali ad alto rischio, l’ex Ilva e la raffineria ENI, bisogna essere estremamente cauti. Le infrastrutture sono interconnesse, e non si può trattare la nave come un totem obbligatorio. Potrebbe essere che della nave si debba fare a meno perché la nave rigassificatrice non è compatibile con le leggi che prevengono incidenti rilevanti. Il punto non è la nave in sé, ma che serve gas per realizzare la decarbonizzazione, in attesa dell’idrogeno. Il gas va garantito, e poi si vedrà come fornirlo. E se la nave non è desiderata o non è legale bisogna farne a meno. Altrimenti l’accordo non si può chiudere. L’orizzonte oggi è difficile, ma questo accade perché questa vicenda è stata lasciata marcire per anni. Se dieci anni fa si fosse dato seguito alla proposta della Regione Puglia, e se i due forni DRI finanziati dal governo Draghi fossero stati realizzati, oggi non saremmo in questo dramma. Invece, si è preferito ignorare, rinviare, rimandare. E ora tutto il peso ricade su Taranto, sul suo sindaco, sulle sue istituzioni, sulle sue comunità. Ed è questa, oggi, la vera ingiustizia” ha concluso Emiliano.
– Foto Ufficio stampa Regione Puglia –
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