Covid, si vince solo con la solidarietà

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Con l’arrivo del mese di maggio, nell’immaginario di ciascuno generalmente si è portati a pensare che tra il favore del caldo e l’andamento sufficientemente spedito della somministrazione dei vaccini, le persone saranno man mano affrancate dalla infezione pandemica. La speranza è che si ritornerà alla normalità lasciandoci alle spalle la triste esperienza della crisi sanitaria che ha travolto affetti, serenità, condizioni economiche e sociali. Insomma non si aspetta altro che il momento dell’annuncio del pericolo scampato, così ciascuno potrà stare più tranquillo, salvo impegnarsi a recuperare il terreno economico e occupazionale perduto a causa delle brusche frenate nelle produzioni e nei servizi degli ultimi 14 mesi. Dunque, soprattutto nei paesi europei e occidentali, in genere prevale l’idea che basti sollecitamente occuparsi del proprio recinto nazionale per eliminare disagi e difficoltà. Ma credo che presto saremo smentiti con elementi assai stringenti che finora difficilmente si sono approfonditi con la opinione pubblica: quella della condizione pandemica dei paesi poveri nel mondo. Mi riferisco alle tantissime realtà che rappresentano una parte vasta dell’intera umanità, che per mancanza di mezzi economici e di organizzazione sono ben lontani da aver solamente abbozzato un piano vaccinazioni, circostanza che le condanna a un pauroso sprofondamento nella ulteriore povertà.
Tante sono le aree del mondo che per mancanza di mezzi e per la limitata possibilità di raggiungerle e organizzarsi saranno condannate a un lunghissimo periodo di coesistenza con il COVID nelle grandi estensioni rurali. Sinora le dosi iniettate su scala mondiale su una popolazione di circa 8 miliardi di persone sono appena novecento milioni. I dati si riferiscono in grande prevalenza ai paesi industrializzati. Questi numeri da soli ben rappresentano plasticamente il lungo cammino che ci aspetta, le ingiustizie palesi ai danni dei più poveri, la esigenza di estendere la sanificazione anche in queste aree, pena: conseguenze di instabilità sanitaria per lungo tempo anche per i paesi ricchi. Dunque, in un mondo fortemente interconnesso, chiudere gli occhi e far finta di non vedere non solo ci macchia di gravi peccati verso l’umanità, ma facciamo male anche a noi stessi, allungando la crisi per anni e anni ancora, pur illusi che basti chiudere le frontiere per risolvere ogni cruda verità che ci assedia.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel mezzo di una crisi economica e sanitaria, i vincitori occidentali decisero la moratoria dei brevetti della penicillina per far sì che molti ammalati dei paesi in difficoltà potessero essere curati a prezzi morigerati. Cosicché si crearono due mercati: uno a bassi costi del medicinale, e l’altro a prezzi più alti e di mercato per chi se lo poteva permettere. Insomma dopo le macerie fisiche e morali inflitte dal conflitto, si riuscì a dare un concreto segno di considerazione e solidarietà per le realtà deboli, Italia compresa. A maggior ragione nella crisi odierna, bisogna attuare una misura analoga: un mercato parallelo a bassi costi per i paesi del sud del mondo.
Sarebbe davvero importante se l’Europa e gli Stati Uniti d’America annunciassero aiuti a sostegno chi ne ha bisogno, dando in questo modo un segnale di solidarietà e di pace, marcando così la differenza tra la miopia egoistica in cui è avviluppato il mondo attuale e la speranza che da questi nuovi passi si possa ridare forza alla solidarietà, che come sappiamo annuncia sempre la pace.

Raffaele Bonanni

(ITALPRESS).

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