L’Europa spettatrice silente fra Usa e Cina, l’Italia anello debole

di Raffaele Bonanni

ROMA (ITALPRESS) – Il mondo si muove a una velocità che l’Europa sembra incapace di seguire. Guerre commerciali, rivoluzioni tecnologiche, nuove gerarchie globali ridisegnano la mappa del potere. Ma noi restiamo fermi, ipnotizzati dal passato, convinti che il vecchio equilibrio possa ancora reggere un tempo che non ci appartiene più. Mentre Stati Uniti e Cina si incontrano per spartirsi le regole del commercio e della tecnologia, l’Europa osserva in silenzio. Washington domina i semiconduttori, Pechino le terre rare: due monopoli che valgono il futuro. Senza di essi non esistono intelligenza artificiale, transizione verde, difesa, né ricerca scientifica. Eppure, il continente che un tempo dettava la storia oggi si riduce a spettatore, intrappolato in dispute di bottega e in una miopia istituzionale che confonde sovranità con nostalgia.

L’Italia, dentro questo quadro, è l’anello più fragile: economia ferma, produttività bassa, debito alto. Si parla di occupazione, ma si tace sulla sua qualità. Si esalta ogni numero positivo, anche se effimero, mentre si ignorano le fratture profonde che rendono il Paese vulnerabile a ogni scossa internazionale. Il paradosso europeo è tutto qui: viviamo circondati da potenze che costruiscono strategie industriali su scala globale, mentre noi celebriamo la lentezza come virtù.

Gli Stati Uniti impongono dazi e regole al mercato, la Cina accumula risorse e influenza geopolitica, l’India avanza, il Giappone investe. Noi, invece, discutiamo di bilanci e veti. Mario Draghi lo ha detto chiaramente: l’Europa deve cambiare pelle o sarà marginale. L’Unione federale non è un sogno accademico, ma una necessità economica e politica. Finché un solo governo potrà bloccare decisioni comuni, l’Europa resterà un gigante amministrativo e un nano strategico.

L’ostinazione di chi, come Orbán, usa il veto per sabotare la coesione europea è il simbolo della nostra impotenza. Serve un nuovo patto: un’alleanza tra nazioni consapevoli che la forza si costruisce insieme, non contro gli altri. Sovranismo non come chiusura, ma come responsabilità condivisa. Una sovranità europea capace di garantire indipendenza energetica, filiere industriali, innovazione tecnologica e un mercato del lavoro stabile. Non mancano le risorse, mancano i leader.

L’Europa non difetta di intelligenze ma di coraggio. Ogni ritardo si paga con la perdita di competitività, ogni esitazione è un passo verso la dipendenza. L’inerzia è la nuova forma di declino. Il futuro non aspetta. O l’Europa sceglie di agire da protagonista nel nuovo ordine globale, o sarà condannata al ruolo di spettatrice beneducata. E l’Italia, se non si scuote, resterà la sua metafora più triste: un Paese che parla di grandezza mentre conta gli zeri della propria stagnazione.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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