
di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Prima ancora della Legge di bilancio, il Governo ha presentato il Documento programmatico. È la cornice: piano triennale 2025-2028, impegni presi con Bruxelles, margini stretti. Giorgetti promette disciplina, ma due miliardi vengono già destinati al caro vita nel privato. Un segnale politico, non ancora economico. Il capitolo lavoro è il cuore della manovra. Tassazione al 10% sugli aumenti dei contratti collettivi nazionali dal 1° gennaio 2026: misura semplice, cedolare secca per chi vede salire lo stipendio. Possibile l’estensione ai rinnovi 2025. Meloni propone il 5% per chi guadagna meno di 28mila euro. L’idea è incentivare il dialogo tra imprese e sindacati, sbloccare tavoli fermi da anni e restituire ai contratti collettivi un ruolo propulsivo. Ma il problema resta a monte: i rinnovi non arrivano. Nel settore privato, l’indennità di vacanza contrattuale è sparita da sette anni. L’Ipca garantiva il 30% dell’inflazione programmata dopo sei mesi di stallo, poi il 50%. Oggi non c’è più. E i salari reali scendono. L’una tantum promessa non basta: serve una norma anti-ritardo che renda obbligatoria la tempestività dei rinnovi. Non la scala mobile, ma un meccanismo di salvaguardia moderno, capace di premiare la produttività e difendere il potere d’acquisto.
Il Governo interviene anche su lavoro notturno, festivo e straordinario. Aliquota al 10%, fringe benefit raddoppiati, premi di produttività detassati. È un riconoscimento per chi tiene in piedi fabbriche, negozi e servizi, anche nei momenti più difficili. Dopo anni di richieste da Cisl, Uil, Cgil riformista e associazioni datoriali, la ministra Calderone assicura: le coperture ci sono. Se è vero, la contrattazione di secondo livello potrà finalmente decollare, premiando il merito e la flessibilità negoziata. Poi c’è il ceto medio, dimenticato da anni di bonus e sussidi. Il taglio dell’aliquota dal 35% al 33% fino a 50mila euro costa tre miliardi, ma segna un cambio di rotta. Dopo stagioni concentrate sui redditi bassi, l’esecutivo guarda a chi sostiene il gettito fiscale e mantiene la tenuta sociale del Paese. Chi guadagna sopra i 35mila euro ha pagato più di tutti, penalizzato dalle addizionali Irpef locali usate per compensare i tagli statali. Ridurre la fascia intermedia fino a 60mila euro non è solo simbolico: è una correzione di equità che prova a restituire fiducia a una parte del Paese rimasta schiacciata tra inflazione, tasse e servizi ridotti.
Ora il testo passa al Parlamento, dove ogni manovra rischia di perdersi tra emendamenti e appetiti. Se non ci saranno assalti alla diligenza e le coperture reggeranno, questa potrà essere una legge non solo contabile ma politica: un patto tra Stato, imprese e lavoratori. La sfida è tornare a premiare chi lavora, chi produce, chi tiene viva la macchina del Paese. L’Italia ha rincorso per troppo tempo. Ora deve costruire – e questa volta non può permettersi di fermarsi a metà strada.
– Foto IPA Agency –
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