ROMA (ITALPRESS) – “L’Italia è tra i Paesi UE con l’età legale più alta per l’accesso alla pensione: 67 anni per entrambi i sessi. Un parametro, peraltro, legato all’aspettativa di vita e destinato ad aumentare fino a 71 anni entro il 2060. Una soglia insostenibile non solo socialmente, ma anche umanamente, soprattutto senza tutele per i lavori gravosi, discontinui o usuranti. Ben diversa, invece, la situazione negli altri Paesi europei dove si riconosce la necessità di flessibilità, gradualità e differenziazione in base ai lavori svolti. In Francia, ad esempio, l’età di accesso è stata recentemente portata a 64 anni, con una riforma peraltro molto contestata. In Spagna, Germania, Paesi Bassi e Irlanda, invece, si prevedono aumenti progressivi verso i 67 anni, ma con tempistiche più dilatate e strumenti di pensionamento anticipato più articolati”. È quanto emerge da una ricerca comparata del servizio Stato Sociale, Politiche Economiche e Fiscali, Immigrazione della Uil, diretto dal segretario confederale Santo Biondo, che ha rielaborato il rapporto Ocse “Pensions at a Glance” 2023, aggiornandolo con i dati del 2025 derivanti dalle riforme adottate dai vari Paesi europei.
“Anche il Governo, che aveva promesso di superare la legge Fornero, ha adottato delle misure che rendono il percorso verso una pensione dignitosa sempre più difficile. Non a caso, i dati Inps nel 2024 certificano un calo del 15,7% delle pensioni anticipate rispetto all’anno 2023 – sottolinea la Uil -. Nello specifico, la riforma di Opzione donna, il programma che consente alle donne di andare in pensione anticipatamente già con una notevole riduzione dell’importo, ha determinato un’ulteriore restrizione dei requisiti di accesso. Nel 2024, infatti, si è registrato un calo del 70,92% delle domande accolte, che stando alla previsione per il 2025, non faranno altro che diminuire. Sono state peggiorate anche le condizioni dell’Ape sociale, con l’aumento dell’età di accesso da 63 a 63 anni e 5 mesi, e di Quota 103, con il ricalcolo contributivo che riduce significativamente l’importo della pensione. Inoltre, dal 2025, con la riduzione dei coefficienti di trasformazione, si è generata una diminuzione degli importi delle pensioni per i nuovi pensionati, che percepiranno, così, assegni pensionistici più bassi rispetto al passato. Questo impatto negativo, peraltro, riguarderà anche quelle lavoratrici e quei lavoratori con primo accredito contributivo successivo al 1° gennaio 1996, che volessero includere il valore tecnico della rendita derivante dalla previdenza complementare, nel calcolo dell’importo necessario per accedere alla pensione di vecchiaia o anticipata. Questi ultimi, però, potranno accedere alla pensione anticipata a condizione che l’importo totale soddisfi le soglie di 3 volte l’assegno sociale per gli uomini, 2,8 volte l’assegno sociale per le donne con un figlio, 2,6 volte l’assegno sociale, con due o più figli. Dal 2027 e fino al 2029, tra l’altro, sono previsti ulteriori aumenti dell’età pensionabile, con l’aggiunta di 3 mesi nel 2027 e di altri 2 mesi nel 2029, complicando ancor di più la situazione. In sostanza, l’Italia si conferma come l’unico Paese in Europa in cui le lavoratrici e i lavoratori subiscono un doppio svantaggio: un’età pensionabile più alta e assegni pensionistici più bassi”.
“Un’attenzione particolare va riservata alle lavoratrici e ai lavoratori pubblici che devono subire un’attesa lunghissima per l’erogazione del TFS/TFR e la revisione al ribasso delle aliquote di rendimento per i fondi di previdenza complementari, con annessi tagli retroattivi degli assegni pensionistici – spiega il sindacato -. Come se non bastasse, è prevista la possibilità del trattenimento in servizio, fino a 70 anni, di un massimo del 10% dei dipendenti pubblici, a discrezionalità delle amministrazioni, bloccando il turn-over e peggiorando la situazione occupazionale. Inoltre, la circolare INPS n. 799/2025 attua la possibilità, per i lavoratori dipendenti che maturano i requisiti per la pensione anticipata flessibile (Quota 103) ma scelgono di continuare a lavorare, di ottenere un bonus in busta paga pari alla loro quota di contributi previdenziali (9,19%). Infine, i pensionati che già percepiscono una pensione sono stati penalizzati da misure come i tagli alla perequazione, che hanno ridotto i loro importi senza possibilità di recupero”.
Per la Uil “è fondamentale aprire un confronto strutturato e permanente con il Governo, per una riforma organica delle pensioni, capace di rispondere ai bisogni reali del nostro Paese. È opportuna una pensione flessibile a partire da 62 anni, senza penalizzazioni, con il riconoscimento pieno dei lavori gravosi e usuranti, e la giusta attenzione per le donne e i giovani, che pagano il prezzo della precarietà, della disparità salariale o del lavoro di cura. Ad esempio, chiediamo il ripristino di Opzione donna alle condizioni previgenti, con l’età di accesso fissata a 58 anni e senza limitazioni discriminanti. Bisogna agire, inoltre, affinché le lavoratrici madri possano poter contare su 12 mesi di anticipo pensionistico per ogni figlio, un giusto riconoscimento per il sacrificio e l’impegno che dedicano alla famiglia e alla società. Di pari passo, sono necessari interventi mirati per contrastare l’evasione fiscale e contributiva, che non può continuare a gravare sul sistema pensionistico, limitando le risorse disponibili per le pensioni di chi ha contribuito alla ricchezza e al benessere del Paese, così come è importante innalzare i salari per far crescere il gettito contributivo in favore del sistema previdenziale”.
– foto IPA Agency –
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