Usa 2024, Biden e la rielezione bruciata dall’incendio in Medio Oriente

Lithuania - Vilnius, Lithuania - July 12, 2023 NATO Summit 2023 US President Joe Biden (Lithuania - 2023-07-12, POU/ROPI) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Il Medio Oriente in fiamme avrà un peso sul risultato finale della corsa alla Casa Bianca. La politica estera non sarà in testa alle preoccupazioni della maggioranza degli americani che andranno a votare, ma per come sono strutturate le regole delle elezioni presidenziali, quando la politica internazionale si mischia a quella locale, può diventare una miscela tanto esplosiva quanto fatale ad un presidente in carica. Un esempio lampante è il Michigan, grande stato del Middle West, che Joe Biden, per essere confermato alla presidenza, non potrà perdere a novembre. Ciò è accaduto ai democratici nel 2016 con Hillary Clinton, regalando così la presidenza al candidato dei repubblicani che nemmeno i suoi elettori credevano potesse vincere: Donald Trump. A novembre Biden per prevalere contro Trump – o qualunque altro candidato – potrebbe anche perdere la Georgia (vinta a sorpresa nel 2020) ma non potrà permettersi passi falsi in Michigan. Lo stato dove i grandi sindacati dell’industria automobilistica, hanno già dato chiari segnali di voler appoggiare Biden, dovrebbe essere piuttosto agevole per i democratici, ma ecco che improvvisamente la politica estera entra a gamba tesa nella politica locale, scombussolando i piani del presidente.
Nello stato dei grandi laghi risiede una numerosa popolazione arabo-americana, che votando in blocco per Biden nel 2020, risulta determinante per strappare a Trump quello Stato che lui aveva tolto a Hillary.
Questo appoggio è diventato di colpo incerto a causa del sostegno, ritenuto spropositato e senza freni, di Biden a Israele, che avrebbe agevolato la distruzione di Gaza e della morte di migliaia di palestinesi. Ovviamente non voterebbero per Trump gli arabi-americani, che ricordano le politiche discriminatorie della sua amministrazione (uno dei primi atti, ai limiti dell’ incostituzionalità, fu di bloccare l’immigrazione legale dai paesi musulmani), e poi il riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele che nessun presidente aveva mai osato, sfidando il diritto internazionale. Basterebbe che molti arabi-americani siano attratti da candidati indipendenti, come Robert Kennedy jr o altri: nel 2016 furono gli oltre 200 mila voti per gli indipendenti in Michigan, che fecero perdere Clinton contro Trump.
Biden giovedì era in Michigan e la sua campagna elettorale ha faticato parecchio per tenere a distanza i gruppi di arabo-americani con i cartelli di protesta contro la sua politica in Medio Oriente. Le mosse di Biden in politica estera, nel 2024 saranno più influenzate dagli effetti che potrebbero avere in certi Stati chiave della sua campagna elettorale. Venerdì gli Stati Uniti hanno effettuato una serie di attacchi militari di ritorsione contro forze iraniane e milizie sostenute dall’Iran, evitando di bombardare il territorio iraniano ma concentrandosi solo su obiettivi in Siria e Iraq.
“Domenica scorsa, tre soldati americani sono stati uccisi in Giordania da un drone lanciato da gruppi militanti sostenuti dal Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane”, ha scritto Biden in una nota. “La nostra risposta è iniziata oggi”. Oltre alla ritorsione nei confronti delle milizie pro Iran, ecco che Biden accelera su altri due fronti: un accordo che possa portare ad una tregua più lunga a Gaza da parte di Israele in cambio del rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas; e contemporaneamente spingere il governo israeliano ad accettare una soluzione per il futuro di Gaza e il West Bank, con il riconoscimento di uno stato palestinese demilitarizzato con al comando una nuova autorità palestinese. Per questa “nuova” politica estera in Medio Oriente, che l’influente columnist del “New York Times” Thomas Friedman battezza “la dottrina Biden”, la Casa Bianca ha pochissimo tempo per ovvie ragioni elettorali. Ma mentre i colpi all’Iran già in corso potranno continuare se non provocheranno l’allargamento della guerra che neanche Teheran sembrerebbe volere, come l’accordo per la liberazione degli ostaggi con un cessate il fuoco di fatto potrebbe essere annunciato già dalla prossima settimana, per far accettare al governo Netanyahu il terzo pilastro della “dottrina Biden”, il piano per lo Stato palestinese, i tempi si prevedono molto più lunghi. Richiederanno, oltre al pieno riconoscimento USA dello Stato palestinese, un ricambio nel governo israeliano.
Se alla fine Biden riuscirà a imporre la nuova politica americana in Medio Oriente prima delle elezioni, potrà anche vincere in Michigan e sperare di restare alla Casa Bianca. Del resto, come sosteneva un famoso speaker del Congresso, Tip O’Neill, tutta la politica è “local”: soprattutto quella degli americani in Medio Oriente.

– foto: Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

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