Sull’ex Ilva il vero nodo è l’energia, test su maturità del Paese

di Raffaele Bonanni

ROMA (ITALPRESS) – Il nuovo vertice a Palazzo Chigi sull’ex Ilva ha confermato, ancora una volta, la difficoltà che da anni accompagna la principale acciaieria italiana. Governo e sindacati restano su binari opposti: l’esecutivo punta ad ampliare la cassa integrazione, mentre le organizzazioni sindacali considerano l’impianto fermo da troppo tempo e giudicano le misure proposte prive di una reale prospettiva industriale. Ad aggravare la confusione arriva l’ennesimo potenziale investitore estero, il quarto in una lunga sequenza di nomi che compaiono e scompaiono, condizione che non da l’impressione di un cambio di scenario.

L’ex Ilva non è un’azienda come le altre: è stata per decenni uno dei cardini della siderurgia europea e il pilastro industriale del Mezzogiorno. La sua crisi riguarda non solo Taranto e i suoi lavoratori, ma la capacità dell’Italia di mantenere la filiera dell’acciaio competitiva, condizione essenziale per la metalmeccanica e per l’intero sistema manifatturiero.

Eppure, negli anni, la politica ha trattato questa vicenda come un terreno di scontro elettorale, alternando interventi contraddittori e soluzioni improvvisate. Le decisioni strutturali sono state rinviate, attenuate o capovolte, fino a ritornare al punto di partenza. In questo contesto, la proposta ricorrente di una nazionalizzazione appare come un riflesso di debolezza più che una strategia.

L’operazione sarebbe costosa, inefficace ed incompatibile con le regole europee sulla concorrenza. Non rilancerebbe la produzione, non garantirebbe efficienza, si trasformerebbe nell’ennesimo pozzo senza fondo finanziato dai contribuenti. Il vero nodo è l’energia. Oggi produrre in Paesi come la Spagna e Francia costa la metà, soprattutto per via del prezzo del gas. In queste condizioni, parlare di decarbonizzazione come se fosse un interruttore da accendere o spegnere è un esercizio di retorica. La transizione ecologica non può ridursi a chiudere un forno a carbone senza offrire alternative tecnologiche, infrastrutturali e finanziarie a Taranto.

Farlo significherebbe consegnare definitivamente la siderurgia italiana alla marginalità, con ripercussioni sul costo dei materiali, sulla competitività e sull’intero sistema industriale. A ciò si aggiunge un atteggiamento politico che continua a oscillare tra annunci e passi indietro. Ogni scelta diventa oggetto di scontro, ogni dossier viene riletto in chiave ideologica, mentre le decisioni strategiche restano sospese.

È difficile immaginare che un investitore serio accetti di impegnarsi in un impianto così complesso senza garanzie chiare, senza un quadro stabile e senza un accordo che coinvolga governo, territorio e sistema produttivo. L’ex Ilva è ormai molto più di un’emergenza industriale: è un test sulla maturità del Paese.

Se l’Italia non sa affrontare una questione così centrale, rischia di ridursi a un’economia concentrata solo sulle proprie eccellenze tradizionali – agroalimentare, turismo, produzione di nicchia – importanti ma insufficienti a sostenere la seconda manifattura d’Europa. Occorrono decisioni definitive capaci di tenere insieme lavoro, ambiente, energia e competitività. Finché prevarrà l’illusione di poter rimandare le scelte più difficili, l’ex Ilva resterà il simbolo dell’incapacità nazionale di prendere davvero in mano il proprio futuro.

-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).

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