NAPOLI CAMPIONE D’ITALIA

Oddio, gol di Lovric! Benvenuto a Udine, signor Napoli. E subito la scaramanzia tradita è il doloroso pensiero del popolo azzurro, mentre l’Udinese diventa lo strumento del destino più crudele che non fa regali e pretende invece il massimo impegno per evitare il massimo della pena. E finalmente Osimhen gol-lampo e la notte napoletana è squarciata da un urlo che spegne la paura. Scudetto! Sì, Napoli Campione d’Italia. D’Italia! Non solo del territorio che in questo momento è un mare in burrasca di umanità e richiama nel taccuino dei cronisti vie, piazze, quartieri, luoghi sacri del tifo maradoniano dove i murales scrivono una grande storia popolare e promettono di restare eterni come i graffiti e i dipinti di Pompei, murales ante litteram. Napoli Italia non è un geografico dato banale, nè un paesaggio digitale: ci son troppi stupidi napoletaneggianti sul web, ‘cca nisciuno è fessò è scritto un pò dappertutto, nel Bel Paese: nelle case, negli uffici pubblici e privati, nei ristoranti, nei bar, ovviamente nelle pizzerie. Ma son soprattutto le voci, quel parlar cantante fra lacrime e sorrisi che i napoletani non travestono mai, cosa che talvolta fa la gente del Sud per meglio introdursi socialmente altrove. A Brooklyn, a Sydney, a Stoccolma, a Mosca, anche a Pechino dove in tempi olimpici si facevano chilometri per una verace pizza napoletana accompagnata dalla sua lingua natìa, non dallo slang del Minnesota. E l’incancellabile identità è favorita dal Napoli, un collante di sofferenza e entusiasmo, una compagnia teatrale – direi il carro di Tespi – che si muove da decenni nei teatri\stadio d’Italia. E ormai d’Europa.
Ecco dunque i Campioni d’Italia – città e squadra – alla faccia di quei tifosi lamentosi che s’atteggiano a vittime e invece son padroni. Come ai tempi di Ferlaino che con Totonno Juliano s’era inventato Maradona, sembrava ‘nu babà, diventò un re, Maradona è meglio ‘e Pelè. Così De Laurentiis che a sua volta ha smentito le leggende metropolitane, i miracoli di San Gennaro, i mandolini di Marechiaro, le contorsioni degli intellettuali che cercano di appropriarsi del successo parlando e scrivendo in italiano forbito. Mario Merola – l’equivalente di Totò e di Carosone nella sceneggiata – mi abbracciava e diceva commosso “Ti ho sentito cantare ‘O surdato ‘nnamorato, Italo, sei come noi!”. Mi faceva cantare – in tv, mica a Capri – il mitico Guido Lembo dell'”Anema e core”. Perdonate se vi risparmio statistiche, non amo i numeri, amo gli eroi e li racconto. Alla faccia di chi non ne vede, a Napoli, neanche arretrando, nel tempo. A volte – fisico e cervello a parte – mi trovo a Napoli come Giacomo Leopardi centonovant’anni fa: innamorato della città, infastidito dagli intellettuali ridondanti, gli stessi che chiamavano lui “ranavuottolo”, ovvero ranocchio, ignorando una sua operina scritta proprio a Napoli prima di morire e riecheggiante una risposta ai detrattori, visto il titolo che raccolgo in una sola parola, “Batracomiomachia” ovvero “Battaglia dei topi con le rane”. Uomini e topi. E rane. Così la pensa Spalletti che poche ore fa ha detto a certi critici “L’anno scorso sono arrivato terzo e mi avete attaccato, ricordo gli striscioni in cui mi dicevate di andar via. E le critiche ci sono ancora oggi…”. Confronti? Rammento giusto che il Napoli – scusate l’anticipo – ha chiuso il campionato cinque giornate prima come il Grande Torino di Valentino Mazzola nel ’48, la Fiorentina di Bernardini nel ’56, l’Inter di Mancini nel 2007, la Juventus di Allegri nel 2019; cito il dettaglio perchè siamo nell’aristocrazia del pallone; quella Fiorentina fu la prima finalista italiana in Coppa dei Campioni e mi vien da dire apposta che l’unico difetto della squadra di Spalletti è stato uscire da una Champions dove gli azzurri avevano forse esibito il miglior calcio. Pur con canti in gloria dell’indimenticabile Pibe de Oro questo è anche lo scudetto che potrà far cantare altre glorie: Meret, Olivera, Kim, Rramhani, Di Lorenzo, Zielinski, Lobotka, Anguissa, Kvaratskhelia, Osimhen, Lozano. E a titolo personale Giacomino Raspadori. Con un pensiero a Hamsik, Lavezzi e Cavani. I miei Tre Tenori.

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