AUTISTA FALCONE “SONO STATO ABBANDONATO”

“Falcone era un magistrato inarrestabile, un motore trainante, un uomo che non si fermava mai. Si portava persino il lavoro a casa, era impegnato davvero per noi, per cercare di dare una svolta di legalità alla società in cui viveva”. Così Giuseppe Costanza, l’autista di Giovanni Falcone, intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”.

“Di quel 23 maggio 1992 – dice – ricordo lo sguardo dei due, di Falcone e la moglie Francesca Morvillo, che si incrociano nello sguardo, con lei che annuisce. Falcone in quel momento spense la macchina e tolse le chiavi, io lo redarguii dicendogli che così ci saremmo ammazzati, lui ha guardato la moglie, lei ha sorriso e lui mi ha chiesto scusa. Ma con quel gesto mi ha salvato la vita, perché la macchina rallentò quel tanto che bastò per non prendere l’esplosione in pieno. Falcone mi ha salvato la vita”.

“Negli anni – aggiunge Costanza – mi hanno fatto sentire in colpa di essere sopravvissuto. Perché ritenevano che se io fossi stato seduto alla guida e non dietro lui si sarebbe salvato e non io. Ma non è così. Se avessi guidato io saremmo arrivati a prendere l’esplosione in pieno, perché non avremmo rallentato. Ci sono stati 23 anni di silenzio nei miei confronti, una cosa vergognosa. Un giorno ero davanti alla televisione a guardare una delle ricorrenze e mio nipote mi disse ‘nonno ma non c’eri anche tu a Capaci? Perché non sei sul palco con quelle persone?’. Mi ha mortificato la sua questione, aveva ragione. Attorno a me si è creato il silenzio mentre persone che con le stragi non c’entravano niente hanno fatto passerella e si sono messi in mostra. Sono stato abbandonato. Mi hanno condannato all’oblio forse perché non faccio parte della casta. Io per loro sono solo un autista”.

Sul suo rapporto con Falcone: “Sapevamo dei rischi che correvamo – dice Costanza -. Io sono stato con lui dal 1984 al 1992. Sapevamo benissimo che prima o poi sarebbe arrivato il momento. Io stavo con Falcone perché lui aveva tanta fiducia nei miei confronti. Quando si trasferiva da un ufficio all’altro mi chiedeva se io lo volevo seguire. Accadde nel 1989 e successivamente quando dalla Procura andando a Roma per rimanere al suo fianco mi ha fatto trasferire in Corte d’Appello. Rischiavo, lo sapevo, ma non ce l’ho fatto a mollarlo. Cosa pensava dello Stato il giudice Falcone? Rispondo semplicemente dicendo che lui non chiamava le istituzioni per comunicare i suoi movimenti ma chiamava me direttamente a casa. Ero io che poi allertavo la scorta. Prima che si arrivi alla verità sulla strage di Capaci temo passeranno almeno altri cinquant’anni. Mi hanno emarginato e isolato per 23 anni, probabilmente perché non rivelassi alcune cose importanti”.

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