AFFARI, ALGORITMI E SOGNI, UN CALCIOMERCATO LUNGO 60 ANNI

Quantum mutatus ab illo (quanto è cambiato). Parliamo di calciomercato, che in questi giorni abbellisce le pagine sportive e fa sognare i tifosi. Giocatori come Tonali, Frattesi, Weah e Thuram figli d’arte che inseguono i milioni. Allenatori che vanno, allenatori che vengono. Garcia promette mirabilie a un Napoli già su di giri; barricate per non cedere Osimhen a meno di 150 milioni; nomi esotici che bisogna imparare in fretta perchè “forse” arriveranno; fuga dei soliti noti verso il nuovo Eldorado, dove abbondano i petrodollari. Avendo frequentato da oltre sessantàanni questo paradiso estivo del pallone, ricordiamo con nostalgia il “mercato delle vacche”, valorizzato negli anni ’60 dal giornalista Giorgio Bellani e (praticamente) favorito dalla presenza di personaggi indimenticabili. L’ambiente dell’Hotel Gallia di Milano, con i racconti delle leggendarie imprese mercantili, era considerato un clima da mille e una notte: lì nasceva il campionato. I ricchi sorseggiavano bevande succulente, la maggior parte si dissetava nei chioschi attorno alla stazione, per risparmiare. Secondo le favole, il fondatore della fiera calcistica fu il principe Raimondo Lanza di Trabia, nobile palermitano e marito dell’attrice Olga Villi, scomparso poi tragicamente. Il nobile, in tempi di telefoni molto “difficili” e viaggi problematici, si piazzava nel celebre albergo milanese e trattava la mercanzia, cioè i giocatori. Un’altra leggenda narra che il principe ricevesse a volte gli interlocutori nudo o addirittura seduto sul water, ma noi – pur avendo conosciuto Lanza di Trabia – non abbiamo mai avuto contezza diretta di tutto ciò. Erano i tempi in cui all’ultimo giorno di mercato, i grandi presidenti si radunavano nei saloni dell’albergo per brindare e concludere con una stretta di mano gli ultimi affari. Oggi non vengono rispettati nemmeno gli accordi scritti. Si chiamavano Angelo Moratti, Andrea Rizzoli, Gianni Agnelli. Il re del mercato era Italo Allodi. C’erano anche presidenti pittoreschi e inattendibili che compravano “l’amalgama”, usavano anche fasci di cambiali per gli acquisti. Alcuni si giocavano i calciatori a poker. Molti nomi famosi lasciarono tracce indelebili come lo svedese Hasse Jeppson, chiamato Jeppesonne, che costò la cifra record di 105 milioni, al comandante Lauro, presidente del Napoli. Il suo successore Corrado Ferlaino comprò Beppe Savoldi per due miliardi destando ondate di indignazione dei benpensanti.

Esattamente al Bologna andarono 1.400 milioni in contanti più Clerici e la comproprietà di Rampanti, il tutto – si disse – mentre sulle strade della città partenopea si accumulavano montagne di spazzatura. Ferlaino però in seguito vinse lo scudetto con l’affare Maradona. Non parliamo degli articoli moraleggianti e delle riprovazioni di politici e che ne seguirono…Dal Gallia il mercato successivamente passò nei “luoghi deputati”, cioè strutture dove la Lega Calcio cominciò a essere presente con i propri uffici: dall’Hotel Hilton al Leonardo da Vinci, al complesso commerciale di Assago, fino agli alberghi dei giorni nostri e agli studi televisivi, da dove passano oggi tutte le notizie con trasmissioni più seguite di quelle politiche. La regolarità delle operazioni veniva garantita dalla presenza di Michele Tigani, funzionario della Lega, che cacciava gli intrusi e gli indesiderati dal tempio. Nei giorni di magra, negli anni Settanta e Ottanta, i cronisti in ambasce circondavano Italo Allodi, e successivamente Romeo Anconetani e Luciano Moggi, per capire come buttava. Ezio De Cesari, Aldo Biscardi e altri famosi colleghi, ricevevano soffiate che sparavano sui giornali, anche se spesso le notizie erano solo ipotesi di lavoro.

Le gente si beveva tutto. E ricordiamo le raffiche finali dell’ultimo giorno, quando a mezzanotte si riversavano sulle pagine dei giornali autentiche ondate di nomi a volte improbabili che finivano nelle edicole. Quando lavoravamo alla Rai, facevamo le nostre irruzioni televisive al calciomercato e i direttori dei tg ci concedevano spazi solo il giorno di chiusura, quando in generale non succedeva più nulla di grosso, costringendoci a salti mortali per fare fantasiosi racconti sul nulla. Insomma, il calciomercato, come oggi, faceva ascolti e faceva vendere copie. Fu un’invenzione tutta italiana (gli stranieri quando venivano a scoprirlo strabuzzavano gli occhi) e ravvivò la carriera di molti nelle estati prive di altre emozioni, sino al sacro momento dei raduni delle squadre. Oggi i veri affari vengono conclusi da ricchi procuratori, ben lontani dalle sedi deputate, dove si concludono solo gli acquisti minori. Si accettano consigli tecnici dagli algoritmi, si fa tutto davanti alle telecamere ed è un mercato digitale, di plastica. Ma piace lo stesso perchè alimenta le illusioni dei tifosi.

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