Tagli cinema e audiovisivo, ANICA, APA e CNA lanciano l’allarme

ROMA (ITALPRESS) – A dar voce alla preoccupazione per il settore del cinema e dell’audiovisivo, generata dagli effetti che potrebbero nascere con la legge di Bilancio, sono stati i presidenti di ANICA, APA, CNA Cinema e Audiovisivo. Questa mattina, infatti, nella sala Fellini della Casa del Cinema sono intervenuti in conferenza stampa per parlare del cambio delle regole in corsa e del taglio ai finanziamenti previsti dalla legge di Bilancio, e chiedere di aprire un dialogo con il governo, sono stati: Alessandro Usai di ANICA, Chiara Sbarigia di APA e Gianluca Curti di CNA Cinema e Audiovisivo.

“Siamo qua per un motivo grave. Non sono solo, ci sono le altre due associazioni, con le quali rappresentiamo oltre il 90% delle imprese che fanno questo lavoro”, ha spiegato Usai, parlando degli altri due presidenti intervenuti di fronte ai giornalisti. “Ci siamo resi conto della necessità di sollevare l’allarme sugli impatti che l’applicazione di quanto previsto attualmente nella bozza della norma finanziaria avrebbero sull’intera filiera e in particolare sulla produzione di cinema e audiovisivo. Che a mio avviso applicate così come sono scritte causerebbero una crisi produttiva e occupazionale che non ha precedenti nel nostro settore, probabilmente degli ultimi 40 anni, e che vedrebbe i suoi effetti dal 2026″.

Usai entrando nel merito della questione ha fatto riferimento a due punti: “che assieme mettono a repentaglio l’esistenza di tutte le produzioni del 2026”, da un lato “il taglio al fondo cinema di 150 milioni, che non è il problema principale”, e dall’altro, soprattutto, quello che ha definito più devastante, ossia il cambio di rotta del: “credito d’imposta che per il settore è stato fondamentale nella crescita degli ultimi dieci anni. È uno strumento”, ha continuato, “che è stato oggetto di una campagna denigratoria ma che ha dei grandissimi meriti per lo sviluppo di questa industria. Non a caso è stato adottato in tutti i paesi che hanno un’industria audiovisiva sviluppata. Anzi molti di questi lo hanno adottato dopo l’Italia, avendo visto gli effetti di sviluppo sia sulle produzioni italiane che sull’attrazione di produzioni estere sul nostro territorio. Generando occupazione e tutti gli effetti indotti tipici del nostro mestiere”. A proposito di questo ha aggiunto: “Noi occupiamo persone. Nel nostro comparto si stimano 124 mila addetti. Abbiamo un impatto sull’indotto di altri settori: per esempio il turismo”. “Il credito d’imposta non è il bonus 110%, ha affermato il numero uno di ANICA.

“La nostra aliquota viaggia mediamente tra il 30 e il 32% del 100% del costo della produzione e la restante parte viene messa da qualcuno che crede nel progetto: broadcaster, produttori e streamers. È una leva importante che aiuta questi investitori a fare prodotti più belli, più importanti e più ricchi anche a livello internazionale. Il problema è che la norma prevista in finanziaria dice che questo strumento a partire dal primo gennaio 2026 entrerà in un regno di totale incertezza perché è previsto un ammontare complessivo di credito d’imposta su cui le nostre imprese dovrebbero fare affidamento che non è definito e per cui, sebbene l’aliquota ci sia, a fine produzione non ci sarà la certezza dei soldi. Quindi dal primo gennaio chiunque faccia il nostro mestiere dovrebbe affrontare un set di un film e di serie tv senza sapere se su quel 25/30/35% di copertura del budget potrà fare conto o no. Dovremo entrare in un meccanismo nel quale dover pagare il 100% di film e serie tv scoprendo poi, non si sa quando, se manca il 25/30% di copertura che abbiamo finanziato”.

Usai ha esposto anche le conseguenze di questo percorso futuro per cui: Un imprenditore non partirà, rimanderà e si bloccherà tutta la produzione. Quindi i nostri lavoratori, quelli di cui nessun parla”, ha precisato riferendosi non al 2% composto da attori e registi, ma al 98% della forza lavoro coinvolta nella realizzazione del prodotto, “vedrebbe la disoccupazione immediata, perché assunti a progetto. Il set non parte, i fornitori non lavorano e le persone restano a casa”.

“Il tax credit per l’audio visivo è l’unico vero sostegno dal 2017 a questo tipo di produzione. E rappresenta solamente una parte del budget destinato ai progetti audiovisivi. Il settore delle serie”, ha dichiarato la Sbarigia dando alcuni numeri “vale sul mercato 783 milioni di euro, di cui 250 sono il ricavato che viene dal tax credit”, il quale ha permesso che le “imprese potessero acquisire e mantenere diritti delle opere prodotte. Per cui si sono create delle library, hanno patrimonializzato e sono riuscite ad essere competitive sul mercato. Queste risorse sono state messe nei prodotti che hanno generato quest’anno una crescita del 9,3%, mentre la crescita media nazionale è stata del 2,9. Questo settore, quindi, ha fatto anche da traino al nostro paese”.

“L’audiovisivo ha avuto un aumento del 4,3%”. È un altro dato fornito dalla presidente di APA che ha ribadito l’intento condiviso, di “lanciare un appello per ripensare a questo sistema che blocca questa crescita con un taglio di cui non conosciamo la portata. Questo non è un settore di tre persone accanite per portarsi a casa i soldi e buttarli dalla finestra, ma è fatto di imprese, lavoratori, investimenti anche privati. È un ecosistema che ha bisogno di una parte pubblica che la finanzi”. “Il momento è determinante. Ci sono in Italia oltre 2400 aziende che si occupano di produzione. Di queste la maggior parte sono in tre regioni: Lazio, Campania e in Lombardia. Molte sono anche in Emilia Romagna e Toscana. Se non dovessimo avere il tempo di ragionare con il governo sulla tempistica di attuazione di questi tagli, ci troveremo dalla sera alla mattina con oltre 70/75 mila posti di lavoro annullati. Per tutta la filiera in Italia”, ma ha specificato, Curti, in particolare nelle cinque regioni citate “ci sarebbe un piccolo dramma epocale. Mentre altri comparti dell’industria nazionale sono in crisi, noi siamo in controtendenza, perché creiamo posti di lavoro e rappresentiamo falegnami, autisti, elettricisti, sartorie, industrie del doppiaggio, dell’esportazione e dell’importazione della distribuzione in sala, dei festival. Un organismo come il nostro va accompagnato, sostenuto e protetto. Siamo qui in ascolto perché capiamo che la congiuntura economico finanziaria internazionale e italiana, in particolare, sia molto fragile”.

La richiesta che fanno, ha precisato, è di concordare “insieme le tempistiche, perché il ciclo industriale nel nostro sistema è lungo 24/36 mesi. Chiediamo di sederci al tavolo per ragionare a scaglioni: una parte del 2026, una parte del 2027 e magari andare a regime e finalizzare il tutto a partire dal 2028. Questo garantirebbe al nostro settore una serenità e una capacità di programmazione che è indispensabile per continuare ad espandere il tutto e per garantire i 124 mila posti di lavoro. Non c’è uno scontro in atto, ma un’umile richiesta di essere auditi per raccontare in dettaglio quali sono le caratteristiche del nostro settore e le tempistiche che potrebbero garantire a noi di sopravvivere senza collassi, senza decine di migliaia di posti di lavoro persi in poche settimane”.

“Non abbiamo la sensazione che ai piani alti, dove vengono prese queste decisioni, ci sia piena consapevolezza di quello che succederà. Per questo abbiamo sentito il dovere di dirlo” ha detto Usai, spiegando le ragioni della conferenza stampa, intesa come modo per avvisare dell’impatto, in modo tale da rivedere i tempi, trovare un luogo di confronto con le associazioni e riformulare le disposizioni. L’obiettivo fissato da Curti è di: “essere ricevuti per approfondire a strettissimo giro perché la data x sarà il 14 novembre alle 10. Per cui non abbiamo molto tempo”.

– Foto xl5/Italpress –

(ITALPRESS).

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