CANNES (FRANCIA) (ITALPRESS) – Perturbato e perturbante, lo strano mondo di Julia Ducournau torna a colpire la Croisette con “Alpha”, suo terzo lungometraggio che giunge in Concorso a Cannes 78 a quattro anni di distanza dalla travolgente Palma d’Oro conquistata con “Titane”. Ancora un dramma sull’adolescenza e ancora una immersione in un mondo borderline, sospeso tra realtà deformata e derive fantastiche.
Questa volta siamo tra gli anni ’80 e i ’90 e la protagonista è Alpha, una ragazzina di 13 anni che vive con la madre single in un mondo che sta facendo fronte a un inquietante virus che cristallizza progressivamente i corpi, trasformandoli in figure marmorizzate destinate a morire senza che nessuna cura sia efficace. Si tratta di una dichiarata trasfigurazione di quel terrore dell’Aids che la regista ha vissuto da adolescente, quando la società fu travolta da questo male sconosciuto e spaventoso che cambiò la percezione sociale del corpo e della sessualità.
Entrambi elementi che nel cinema di Julia Ducounau sono ben centrali e che nel film mantegono tutta la valenza performativa che questa regista attribuisce loro. Quando infatti Alpha torna a casa da una festa con un tatuaggio sul braccio, la madre (interpretata dalla straordinaria Golshifteh Farahani) è terrorizzata dall’idea che il virus sia entrato nel suo corpo e la porta in ospedale, dove lavora, per tutti gli accertamenti. La donna conosce cosa significa la sofferenza e lo stigma dell’infezione, anche perché da anni combatte con la dipendenza dall’eroina di Amin, suo fratello, interpretato da un Tahar Rahim quasi irriconoscibile, teso in un corpo incredibilmente smagrito.
La sua presenza sempre più consunta, la determinazione con cui si spinge nella dipendenza e nella sofferenza che ne consegue, sono lo specchio in cui si riflette la relazione complessa tra questa donna che non accetta la morte e la combatte con tutte le sue forze e Alpha, che nel pieno della sua adolescenza guarda alle mutazioni fisiche e al bisogno di stare in contatto con la realtà superando ogni paura e ogni stigma sociale.
Julia Ducounau lavora di slittamento narrativo, alternando i piani temporali e lavorando sulla mutevolezza dei corpi. “Alpha” è un film che parla alle paure del presente da un tempo che credevamo superato ma che ci riguarda ancora: meno astratto di “Titane”, il film è altrettanto concentrato sulla elaborazione di una sensibilità fisica estrema, che guarda al corpo come a una barriera simbolica e fantastica tra la concretezza fisica della realtà e la sua elaborazione simbolica e fantastica. Opera intensa e misurata che dimostra una disposizione più equilibrata nella regista, “Alpha” deve molto anche alla sua giovane interprete, Mélissa Boros, quasi esordiente eppure già dotata di una capacità espressiva in grado di stare al passo con le potenti prestazioni di Golshifteh Farahani e Tahar Rahim.
– foto IPA Agency –
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