“VOX LUX”, NATALIE PORTMAN POPSTAR A VENEZIA

Gestire il disturbo post traumatico da stress diventando prima una candida pop singer quattordicenne e poi una disturbata e disturbante pop star trentaduenne: è la parabola che racconta lo statunitense Brady Corbet nella sua opera seconda “Vox Lux”, presentata in Concorso a Venezia 75. Il suo primo film, “L’infanzia di un capo”, tre anni fa gli era valso sempre qui alla Mostra sia il premio per la regia del concorso Orizzonti, sia quello per la migliore opera prima. Frequentatore della scena indipendente americana, giovane attore per registi come Greg Araki e Sean Durkin, Corbet torna alla Mostra nella competizione principale con un film dalle grandi ambizioni ma dai risultati molto deludenti. Definito dallo stesso Corbet un melodramma storico ambientato nell’America tra il 1999 e il 2017, “Vox Lux” racconta la storia di Celeste, una ragazzina della provincia americana che a 14 anni sopravvive per miracolo alla strage di studenti messa a segno da un suo compagno di classe e, cantando durante la cerimonia funebre una canzone scritta per l’occasione assieme alla sorella maggiore, diventa una piccola star nazionale.

La ritroviamo diciotto anni dopo, interpretata da Natalie Portman, ormai diventata una acclamata pop star al culmine della sua carriera, ovviamente alcolizzata e dedita a tutti gli eccessi del caso, con una figlia quattordicenne e la sorella che la segue nell’ombra da tiranneggiare: come dire è nata una stella ancora una volta… Qui però Corbet ha l’ambizione di descrivere il rapporto tra la scena globale e quella individuale in cui si muove la protagonista, cercando di fare di lei una sorta di metafora dei cambiamenti intercorsi nel passaggio tra XX e XXI Secolo nella società e nella cultura americana. L’epilogo che rievoca una delle tante stragi di studenti perpetrate negli States diventa il punto di fuga per la definizione di una scena in cui la giovane protagonista diventa una sorta di scheggia impazzita di quelle esplosioni, ribaltando la violenza dalla quale s’è salvata miracolosamente in una forma di potere legato allo showbiz. Non che le intenzioni del regista siano in realtà troppo chiare, probabilmente perché il film finisce poi nelle maglie della ingombrante presenza (anche produttiva) di una Natalie Portman che si cuce il film addosso.

Se infatti nella prima parte Corbet sembra controllare con una certa sapienza i fattori che mette in scena, nel preciso istante in cui subentra la Portman il film diventa un noioso pasticcio di ambizioni e scontatezze, che si consegna a un lungo e inutile finale on stage, con la Portman che per una quindicina di minuti si produce in uno show à la Madonna. Girato e presentato alla Mostra in pellicola, il film è stato accolto da non pochi fischi della stampa, tutti pienamente meritati.

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