Videogiochi, l’Italia scopre la sua industria creativa

ragazza seduta con smartphone

Nel 2025 l’industria videoludica italiana ha smesso di essere un territorio pionieristico per diventare una componente riconosciuta dell’economia creativa nazionale. I numeri confermano una maturità raggiunta: secondo l’ultimo rapporto di IIDEA, il giro d’affari legato al consumo di videogiochi ha toccato i 2,367 miliardi di euro nel 2024, segnando una presenza stabile nel panorama culturale e industriale del Paese. Parallelamente, il comparto dello sviluppo e dell’editoria impiega circa 2.800 professionisti, un incremento del 17 per cento rispetto a due anni prima. Non più una costellazione di esperimenti artigianali, ma una rete di studi e microimprese che iniziano a strutturarsi come vere realtà produttive, capaci di generare valore e competenze esportabili.

A livello globale, il quadro resta più incerto. Dopo l’espansione seguita alla pandemia, il mercato internazionale si trova a gestire una fase di riassetto, con un’ondata di riduzioni di personale stimata in oltre 14 mila posizioni nel 2024. L’aumento dei costi di sviluppo, le scommesse fallite sui titoli di punta e un mercato sempre più polarizzato tra colossi e produzioni indipendenti hanno imposto una selezione naturale.

In questo contesto, la filiera italiana si distingue per una resilienza basata sulla scala ridotta e sulla capacità di integrare competenze trasversali: una miscela di creatività, ingegneria e cultura visiva che le consente di crescere pur navigando in acque turbolente.

Mestieri in evoluzione: il nuovo ecosistema del gaming italiano

Dietro la crescita del settore si muove una costellazione di professioni che riflette la complessità di un medium ormai globale. Il videogioco contemporaneo non è più il prodotto di un singolo talento, ma il risultato di un lavoro corale per creare passatempi che intrecciano giochi senza scaricare, design, programmazione, arti visive, musica e gestione di progetto. In Italia, i profili più richiesti spaziano dai game designer, chiamati a tradurre un’idea narrativa in regole di interazione, ai programmatori specializzati in motori grafici e intelligenza artificiale, fino agli artisti 2D e 3D, agli animatori e ai sound designer. Accanto a loro si muovono produttori, project manager, esperti di marketing e community manager: figure che rappresentano il ponte tra creazione e mercato, tra cultura e impresa.

L’elemento di svolta è rappresentato dall’irruzione dell’intelligenza artificiale generativa nei processi produttivi. Secondo il Games Report 2025 di Google Cloud, il 90 per cento degli sviluppatori utilizza già strumenti di IA nei propri flussi di lavoro, principalmente per automatizzare compiti ripetitivi o per assistere alla generazione di codice. Ma la trasformazione va oltre l’efficienza tecnica: l’intelligenza artificiale sta modificando le aspettative dei giocatori, spingendo gli studi a creare esperienze più dinamiche, adattive e personalizzate. In questo scenario, il valore dei professionisti non si misura più soltanto nella padronanza tecnica, ma nella capacità di conservare una visione autoriale dentro un processo produttivo sempre più automatizzato. L’IA non sostituisce l’artista o il designer: li costringe piuttosto a ridefinire la propria identità, a diventare interpreti consapevoli di tecnologie che ampliano, ma non esauriscono, la creatività umana.

Formazione e futuro: la filiera del talento italiano

La solidità di un’industria si misura anche nella sua capacità di generare competenze. In Italia, il sistema formativo legato al videogioco sta attraversando una fase di consolidamento che coinvolge università, istituti tecnici e poli di innovazione. Dai corsi del Politecnico di Milano e Torino ai percorsi dedicati delle università di Bologna e Verona, fino alle scuole private specializzate, la formazione intreccia oggi teoria, pratica e rapporto diretto con le imprese. La distanza tra accademia e industria si sta riducendo grazie a laboratori, game jam e programmi di mentorship che permettono ai giovani sviluppatori di costruire un portfolio riconoscibile, requisito ormai imprescindibile per accedere al mercato del lavoro.

A sostenere questa evoluzione interviene una rete di strumenti pubblici e privati ​​che rendono l’ecosistema italiano sempre più competitivo. Il credito d’imposta per i videogiochi, con una detrazione del 25 per cento dei costi di produzione fino a un milione di euro per impresa, continua a rappresentare un incentivo chiave per la crescita del settore. Intorno a esso si è sviluppata una costellazione di hub e acceleratori regionali.

Guardando al futuro, la sfida sarà mantenere questo slancio dentro un contesto globale ancora instabile. Il videogioco italiano possiede oggi una combinazione rara di creatività e rigore tecnico, ma dovrà continuare a investire nella formazione e nell’internazionalizzazione per non disperdere il capitale di competenze costruite negli ultimi anni. In un settore che evolve alla velocità della tecnologia, la differenza continuerà a farla le persone: la loro capacità di interpretare i linguaggi digitali senza subirli, di coniugare visione artistica e competenza economica. È su questa frontiera che si gioca la prossima partita del videoludico made in Italy.