Procurement sostenibile: il Parlamento UE vota nuove modifiche alla CSRD

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Il 2025 ha segnato una svolta decisiva per il procurement aziendale europeo. L’implementazione graduale della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), entrata in vigore il 5 gennaio 2023 e recepita in Italia con il D.lgs. n. 125 del settembre 2024, ha ampliato il perimetro delle imprese tenute a rendicontare l’impatto ambientale, sociale e di governance delle proprie attività.

Si è passati dalle 11.700 aziende precedentemente coinvolte dalla vecchia direttiva NFRD a circa 50.000 imprese nell’Unione Europea, di cui 4.000 solo in Italia. Il Pacchetto Omnibus “Stop the Clock”, approvato dal Parlamento europeo ad aprile e recepito in Italia con la Legge 118/2025 ad agosto, ha posticipato di due anni alcune scadenze per alleggerire il carico sulle PMI.

Il 13 novembre scorso, inoltre, il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione negoziale richiedendo ulteriori semplificazioni, tra cui un innalzamento delle soglie dimensionali che potrebbe escludere ulteriori imprese dagli obblighi più stringenti. Tuttavia, la direzione intrapresa rimane ben definita: la trasparenza sulla sostenibilità della filiera non è più opzionale. Questo cambiamento normativo impone alle aziende di tracciare, misurare e rendicontare secondo criteri ESG standardizzati l’intera catena di approvvigionamento, trasformando il modo in cui vengono selezionati e gestiti i fornitori.

Dal dato alla strategia: la sostenibilità diventa priorità

I numeri fotografano una trasformazione già in atto prima delle novità normative. A livello globale, secondo il report Amazon Business 2025, il 99% delle aziende ha formalizzato obiettivi ESG e l’80% include già l’obbligo di collaborare con fornitori sostenibili certificati.

Il 62% dei responsabili procurement e il 67% dei senior leader considerano gli acquisti sostenibili una priorità nei prossimi 1-2 anni, mentre il 61% delle organizzazioni privilegia attivamente fornitori con pratiche sostenibili.

Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, i dati più recenti disponibili in merito condivisi da Istat sono relativi al 2023 e indicano che il 69% delle imprese manifatturiere ha intrapreso azioni di sostenibilità, con una concentrazione maggiore nelle grandi imprese (90,9%) rispetto alle PMI (46,7%).

Queste percentuali riflettono un cambiamento culturale profondo: la sostenibilità non rappresenta più un “nice to have” comunicazionale ma un requisito imprescindibile.

Oltre alla pressione normativa, che prevede sanzioni per chi non rispetta gli obblighi di rendicontazione, le spinte in questa direzione sono determinate anche dalle aspettative dei consumatori, che premiano sempre più i brand percepiti come responsabili, influenzando le scelte di acquisto e la fedeltà al marchio.

Infine, emergono vantaggi competitivi concreti per chi si muove per primo: efficienza operativa, riduzione dei rischi, accesso a nuovi mercati e differenziazione rispetto ai competitor.

Trasparenza e tracciabilità: i nuovi criteri di selezione fornitori

Per quanto riguarda i cambiamenti relativi ai criteri di selezione dei fornitori, i parametri ESG assumono un peso crescente nelle decisioni di acquisto.

Le certificazioni riconosciute a livello internazionale come EcoVadis, ISO 14001 o lo status di B-Corp diventano elementi discriminanti nella qualifica dei fornitori. Particolare attenzione viene riservata alle emissioni Scope 3, che includono tutte le emissioni indirette lungo la catena del valore: un dato del World Resource Institute, del resto, ha evidenziato che oltre il 96% delle emissioni dei principali brand sono attribuite proprio a queste fonti, rendendo impossibile raggiungere target di decarbonizzazione senza coinvolgere attivamente i fornitori.

In ogni caso, i parametri monitorati spaziano dalle pratiche etiche del lavoro al packaging sostenibile, dalla gestione delle risorse idriche alla riduzione dei rifiuti, dalla biodiversità agli impatti sulle comunità locali.

Senza dubbio, le piattaforme digitali moderne aiutano a confrontare i dati dei fornitori con framework e certificazioni di sostenibilità, filtrare per tag ESG e integrare punteggi di sostenibilità direttamente nei flussi di approvazione degli ordini.

Tuttavia, la selezione iniziale rappresenta solo il punto di partenza: serve un sistema di monitoraggio continuo che valuti nel tempo le performance effettive, identifichi scostamenti rispetto agli impegni assunti e consenta interventi correttivi tempestivi.

Per farlo efficacemente, le aziende possono avvalersi di indicatori di performance specifici che traducano questi criteri in metriche oggettive e misurabili. Per approfondire, è possibile consultare l’approfondimento dedicato ai KPI per valutare l’efficienza degli acquisti disponibile sul sito di RS.

I vantaggi competitivi oltre la compliance

Adottare pratiche di procurement sostenibile genera benefici economici misurabili che vanno ben oltre il semplice rispetto degli obblighi normativi. Secondo il World Economic Forum, le pratiche di approvvigionamento sostenibile possono ridurre i costi complessivi del 9-16%, un risparmio significativo che deriva da molteplici fattori: minor spreco di risorse, processi più efficienti, riduzione dei costi legati a interruzioni della supply chain, ottimizzazione dei consumi energetici e delle materie prime.

Il rafforzamento del brand e della reputazione aziendale rappresenta un altro aspetto fondamentale. In un mercato dove i consumatori premiano le aziende percepite come responsabili, la trasparenza sulla filiera diventa elemento distintivo che si traduce in fedeltà del cliente e premium pricing.

Il settore finanziario ha già integrato questi criteri nelle proprie valutazioni: le banche offrono condizioni di credito più vantaggiose alle aziende con rating ESG elevato, mentre gli investitori istituzionali allocano capitale preferenzialmente verso imprese che dimostrano solidità nella gestione dei rischi non finanziari. Questa dinamica riduce il costo del capitale e facilita l’accesso ai finanziamenti.

La riduzione dei rischi operativi costituisce un ulteriore vantaggio misurabile. Le aziende che selezionano fornitori secondo criteri ESG strutturati registrano minori interruzioni nella supply chain, evitano l’esposizione a scandali reputazionali legati a pratiche scorrette dei partner commerciali e si proteggono dai cambiamenti normativi che potrebbero compromettere fornitori non preparati. La costruzione di relazioni di lungo termine con partner che condividono valori e obiettivi si traduce in maggiore stabilità operativa, accesso privilegiato alle forniture in momenti di scarsità e condizioni commerciali più favorevoli.

Il tempo per agire è ora

L’onda normativa partita con la CSRD è solo l’inizio di un percorso che ridefinirà profondamente il modo in cui le imprese europee fanno business.

Nei prossimi anni, l’integrazione tra performance finanziaria e impatto ESG diventerà talmente pervasiva da rendere obsoleta la distinzione stessa: non esisteranno più “acquisti tradizionali” e “acquisti sostenibili”, ma semplicemente decisioni di procurement valutate simultaneamente su parametri economici, ambientali e sociali.

Il consolidamento degli standard ESRS e l’evoluzione degli strumenti digitali accelereranno questa transizione, rendendo la tracciabilità della filiera una vera e propria nuova prassi industriale. Le piattaforme di monitoraggio ESG diventeranno ubique quanto oggi sono i sistemi ERP, e i fornitori che non sapranno fornire dati strutturati sulle proprie performance di sostenibilità si troveranno progressivamente esclusi dalle catene di approvvigionamento delle grandi organizzazioni. Parallelamente, emergeranno nuove professionalità, come il sustainable procurement manager, l’analista di rischio ESG, lo specialista in carbon accounting della supply chain.

Le aziende che interpreteranno questo cambiamento come opportunità anziché come adempimento costruiranno ecosistemi di fornitori più solidi, trasparenti e innovativi. La partita competitiva si gioca oggi, mentre le regole del gioco sono ancora in fase di definizione.

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