PRESENTATO L’ELECTRICITY MARKET REPORT 2019

Ampliare la platea di soggetti che possono partecipare al Mercato per i servizi di dispacciamento (Msd) è una delle strategie adottate dal nostro Paese per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del sistema elettrico al 2030 definiti dal Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima. Si tratta di un’iniziativa già in sé rilevante che si inserisce in un profondo e più ampio ridisegno dell’attività di dispacciamento, il quale ha visto un momento fondante nella pubblicazione del documento per la consultazione sul nuovo testo integrato del dispacciamento elettrico (Tide) da parte di Arera, avvenuta il 25 luglio scorso.
Gli operatori hanno subito risposto alla novità in maniera incoraggiante: sono state abilitate a partecipare al MSD nuove risorse per oltre 1.100 MW di capacità complessiva, che corrispondono a circa 150 unità ‘virtuali’. Sono le cosiddette Uvam – Unità virtuali abilitate miste – composte da unità di produzione, di consumo o miste. La sfida è ora quella di andare oltre i progetti pilota e far diventare queste risorse una componente strutturale per la gestione del sistema elettrico, massimizzando il rapporto tra benefici e costi.
All’analisi del mercato elettrico italiano, delle sue evoluzioni più recenti e delle sue prospettive è dedicato l’Electricity Market Report 2019, redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano. Il report, giunto alla sua terza edizione, ha cercato di scattare una fotografia il più possibile nitida di un settore in grande fermento, coinvolgendo come sempre nella ricerca numerosi ed autorevoli partner.

“E’ chiaramente urgente una riforma organica dell’attività di dispacciamento, a partire dall’allargamento dei soggetti abilitati a fornire servizi di regolazione – commenta Vittorio Chiesa, direttore dell’E&S Group della School of Management del Politecnico di Milano -. Si tratta di un percorso che l’Autorità ha intrapreso da alcuni anni e che ha visto una tappa fondamentale nel DCO pubblicato il 25 luglio scorso. Con Terna si sono avviati diversi progetti pilota per aprire il Mercato dei servizi di dispacciamento a nuovi soggetti, introducendo le Unità Virtuali Abilitate (UVA) – unità di consumo e di produzione, compresi i sistemi di accumulo, aggregati per partecipare al MSD – e la figura dell’aggregatore, in grado di abilitare alla partecipazione le unità non ammesse in precedenza. Una novità cruciale all’interno del sistema elettrico”. “Spetta ora ai policy maker, con il supporto di tutti gli operatori di settore, delineare un contesto che massimizzi il rapporto fra benefici e costi per il sistema Paese associato alla diffusione delle unità virtuali”, aggiunge Chiesa.

La necessità di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del sistema energetico che il nostro Paese si è dato sta producendo grandi cambiamenti, come la diffusione delle fonti rinnovabili non programmabili, cioè eolico e fotovoltaico, passate nell’ultimo decennio da meno di 5 GW (2008) a più di 30 GW (2018) di capacità installata e destinate ad arrivare a circa 39 GW di nuovi impianti entro il 2030. Altri fattori che stanno radicalmente modificando la fisionomia del sistema elettrico sono la riduzione della capacità installata di impianti termoelettrici (da 77 GW nel 2013 a 62 GW nel 2018, -20%) e la cosiddetta “elettrificazione” dei consumi, cioè l’uso dell’elettricità – di conseguenza maggiormente utilizzata – nel riscaldamento o nei trasporti, con l’introduzione di nuovi attori all’interno del sistema, come i veicoli elettrici.
Una delle principali iniziative messe in atto in Italia per gestire le dinamiche evolutive del sistema elettrico riguarda, come detto, l’ampliamento dei soggetti che possono offrire servizi di regolazione, reso possibile dalla delibera 300/2017. Si sono avviati numerosi progetti pilota, introducendo le Unità Virtuali Abilitate (UVA) – unità di consumo e di produzione, compresi i sistemi di accumulo, aggregati per partecipare al MSD – e la figura dell’aggregatore, in grado di abilitare alla partecipazione le unità prima non ammesse.
Tra i diversi tipi di aggregati troviamo le UVAC (aggregazioni di unità di consumo), le UVAP (aggregazioni di unità di produzione non rilevanti, inclusi i sistemi di accumulo) e le UVAM, aggregazioni “miste” in cui da novembre sono confluite le altre due. Un’iniziativa regolatoria che ha dato ottimi frutti, se si pensa che nel progetto pilota UVAM risultano abilitate a partecipare al MSD nuove risorse per un totale di 1.156,5 MW.

Un altro progetto pilota promosso a seguito della Delibera 300/2017 riguarda le UPI (Unità di Produzione Integrate), unità di produzione rilevanti integrate a sistemi di accumulo che hanno la possibilità di fornire servizio di regolazione primaria della frequenza e che ad oggi hanno abilitato una potenza complessiva di 27,7 MW, cioè quasi tutto il contingente definito da Terna (30 MW).
A partire dal gennaio 2019 per le UVAM sono state predisposte delle aste di approvvigionamento a termine delle risorse, con cui Terna si assicura una determinata capacità disponibile a fornire servizi di dispacciamento. Per l’anno 2019 è stato individuato un contingente pari a 1.000 MW, diviso in due aree: 800 MW per l’Area di Assegnazione A (Nord Italia e Centro-Nord) e 200 MW per l’Area di Assegnazione B (Sud, Centro-Sud, Sicilia e Sardegna). Le assegnazioni sono effettuate tramite aste al ribasso.
Guardando ai risultati, le quantità assegnate mostrano un andamento crescente, indice del forte interesse degli operatori verso il prodotto a termine e in particolare verso l’Area A, soprattutto nei primi mesi dell’anno. Negli ultimi mesi si è però raggiunto un sostanziale allineamento nelle due Aree: a ottobre l’Area A aveva un tasso di ‘saturazione’ del contingente pari al 97%, l’Area B pari all’85%. Dal punto di vista economico, il corrispettivo fisso nei primi mesi dell’anno non si è significativamente discostato dalla base d’asta, pari a 30.000 €/MW/anno, mentre nelle aste tenutesi a ottobre, con l’avvicinarsi della saturazione del contingente, il corrispettivo fisso è sceso nell’Area A su valori di poco superiori a 28.000 €/MW/anno.

Queste iniziative hanno coinvolto 27 operatori (BSP) che hanno partecipato alle procedure di approvvigionamento a termine nel corso dei primi 10 mesi del 2019 e che sono via via cresciuti di numero: dai 12 attivi nelle aste di gennaio ai 24 di maggio. Dal punto di vista geografico, si nota una significativa polarizzazione degli operatori (90%) nell’Area A: solo l’11% opera esclusivamente nell’Area B, poco meno del 30% lo fa in entrambe le aree.
Dal punto di vista dimensionale, solo 4 soggetti hanno creato un portafoglio di UVAM con una dimensione complessiva superiore a 100 MW, altri 4 si sono attestati su misure intermedie (tra 20 e 100 MW) e i restanti 19 su quantità ridotte (meno di 20 MW).
Per quanto riguarda invece le caratteristiche costitutive delle UVAM che hanno partecipato al progetto pilota, delle 156 abilitate a fine agosto 2019 il 71% risulta composto da un unico POD, il 15% da due, per un totale di 256 POD coinvolti. Dei 233 impianti di generazione che partecipano alle UVAM, circa due terzi sono termoelettrici, seguiti dagli idroelettrici. L’utilizzo di queste risorse da parte di Terna appare però limitato, perché sono stati movimentati dalle UVAM solo 556,5 MWh “a salire” nei primi sette mesi di sperimentazione, divisi in 76 diverse attivazioni. A queste si aggiungono 2 chiamate “a scendere”, per un totale di 36,5 MWh, entrambe relative allo stesso aggregato. Considerato che siamo ancora in una fase sperimentale, i risultati possono ritenersi soddisfacenti, posto che in circa due terzi dei casi è stata fornito almeno il 70% della quantità di energia accettata.

L’analisi degli aggregatori attivi in Italia (12 BSP, cui si riferisce il 74% dell’attuale capacità contrattualizzata a termine) ha delineato 4 cluster di business model: “Pure Aggregator”, cioè chi svolge esclusivamente il ruolo di BSP e si serve di uno o più provider tecnologici per la fornitura dell’infrastruttura tecnologica necessaria a creare e gestire una UVAM; “Technology-driven Aggregator”, cioè tutti gli operatori che, oltre a svolgere il ruolo di BSP, hanno deciso di sviluppare internamente la piattaforma di gestione e, in taluni casi, l’infrastruttura tecnologica necessaria per la realizzazione di un UVAM; “Client-driven Aggregator”, cioè chi ha una relazione con i proprietari di asset che potrebbero partecipare alle UVAM, o li possiede direttamente, ma non copre le fasi relative all’infrastruttura tecnologica; infine, “Fully-integrated Aggregator”, ossia gli operatori che hanno deciso di investire nello sviluppo delle tecnologie necessarie per creare un UVAM e che sono anche in grado di coinvolgere i clienti, in genere grazie a una relazione pregressa.
Non è emerso un modello di business di riferimento, ma quello più ricorrente appare essere il “customer driven”, a testimonianza dell’importanza del cliente in questa prima fase di sviluppo di mercato. D’altro canto, molti operatori non hanno ritenuto opportuno presidiare la parte tecnologica, nonostante sia diffuso il parere che la piattaforma possa rappresentare in futuro un elemento distintivo per un BSP.
Per valutare le ricadute della diffusione delle unità virtuali sul sistema Paese è stata stimata quale sia la capacità totale di modulazione delle UVAM economicamente sostenibile per il BSP e gli asset owner, a partire da tre possibili livelli di penetrazione delle UVAM e al variare delle condizioni al contorno (presenza e ammontare del corrispettivo fisso e prezzo medio di remunerazione dell’energia movimentata su MSD).

Sulla base delle elaborazioni precedenti, sono stati identificati 2 scenari di diffusione della UVAM nel nostro Paese a partire dai quali sono stati stimati il volume d’affari e le altre ricadute economiche: nel primo caso, si avrebbe una capacità di modulazione delle UVAM pari a 4,5 GW (in corrispondenza di un prezzo medio dell’energia movimentata su MSD pari a 100 €/MWh; nel secondo, si avrebbe una capacità massima di modulazione delle UVAM pari a 13,4 GW (in corrispondenza di un prezzo medio dell’energia movimentata su MSD pari a 200 €/MWh).
Dall’analisi emerge che, a fronte di investimenti tutto sommato limitati in valore assoluto – tra i 20 e i 50 milioni di euro – che rappresentano un introito per le imprese della filiera, il sistema elettrico potrebbe dotarsi di diversi GW di unità virtuali economicamente sostenibili dal punto di vista dei BSP. Ciò determinerebbe inoltre ricadute positive per lo Stato sotto forma di incremento del gettito fiscale, stimabili tra i 6 e i 17 milioni.
Rimane tuttavia evidente la necessità di creare un opportuno contesto affinché queste iniziative risultino convenienti anche per gli asset owner. Le elaborazioni effettuate mostrano che la presenza del corrispettivo fisso consente di incrementare notevolmente i costi massimi di modulazione sostenibili dagli asset owner, i quali ad esempio passano da 45 €/MWh a 127 €/MWh nel primo scenario, aumentando così la platea di soggetti disposti a fornire “flessibilità”.
Spetta dunque ai policy maker, con il supporto degli stakeholder del sistema elettrico, affrontare la sfida di delineare un contesto che massimizzi il rapporto fra benefici e costi per il sistema Paese associato alla diffusione delle unità virtuali, sulla cui rilevanza cruciale all’interno del sistema elettrico ormai pochi dubitano.

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