Di Lucia Rotta
ROMA (ITALPRESS) – La crisi in Medioriente e i suoi fronti aperti, il ruolo dei grandi attori internazionali fino alla posizione della Nato sui conflitti in corso: di tutto questo parla, in un’intervista all‘Agenzia Italpress, Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation.
“Tanto per cominciare il Medio Oriente non esiste più da un bel pezzo. È una frammentazione su cui si può ancora ragionare come Golfo e Levante, due aree connesse ma ben distinte, mentre il Nord Africa è sempre più Africa. Il secondo punto è che risulta evidente che il governo israeliano pensi di avere una finestra di opportunità unica per fare due cose: la prima è una soluzione finale al problema palestinese, la seconda è ristrutturare il Medio Oriente togliendo di mezzo l’unico antagonista strategico che è l’Iran”, dichiara Politi, inquadrando così una regione i cui avvenimenti accadono “in mezzo all’impreparazione di altri governi” a prendere decisioni.
“Quando parlo di impreparazione non dico che non ci siano state ipotesi o previsioni. Dico semplicemente che, tra l’ipotesi e la previsione, c’è il vuoto in quanto a capacità delle dirigenze politiche di elaborare possibili risposte concrete, anche da un punto di vista concettuale”, aggiunge. Dovendo proprio fare degli esempi, “diciamo che i governi all’interno dell’Unione europea sono un caso classico. Ma anche il governo statunitense, nonostante abbia stretti contatti con quello israeliano, non è capace d’individuare risposte strutturate. È chiaro che la situazione è fluida e quindi bisogna anche navigare a vista, ma mi risulta che ci siano moltissime viste e poche linee d’azione”.
Riguardo agli Stati Uniti, “con la seconda presidenza Trump hanno confermato quello che già d’istinto avevano dichiarato nella prima. Non vogliono più essere gli sceriffi del mondo. Troppo costoso, troppo impegnativo. Inoltre, la presidenza Trump si vuole occupare sostanzialmente di due cose: di quello che succede a casa propria e (come la presidenza Biden) ha perfettamente ragione, perché c’è un problema concreto, politico e sociale negli Stati Uniti che va affrontato; poi anche della Cina. Il resto è secondario e in mezzo a tutto questo Trump non vuole essere risucchiato in un conflitto che può durare troppo per i suoi gusti”, osserva Politi.
Oltre agli Stati Uniti, a guardare forse solo apparentemente più in disparte la situazione mediorientale, ed in particolare il conflitto Israele-Iran, ci sono altri due grandi attori, Russia e Cina. Sul primo Paese, “quando Putin si offre come mediatore, lo fa perché ha una concreta esperienza in questo settore”, precisa Politi ricordando la mediazione di Mosca quando l’ex presidente Usa Barack Obama “voleva bombardare la Siria per le famose linee rosse” e la Russia si offrì di mediare per ottenere la dismissione delle armi chimiche di Damasco.
Riguardo alla posizione della Cina, “Pechino per ora non sta dicendo nulla ma è molto attiva perché c’è tutta una serie di aerei da trasporto militare che stanno facendo la spola insieme a cargo cinesi da maggio. Cosa scarichino, non si sa. I cinesi non amano, come abbiamo capito, il ‘twitterio’, ma sono degli interlocutori molto seri e da non sottovalutare mai”. Infine, un’ultima riflessione riguarda la posizione dell’Alleanza Atlantica, soprattutto se, ad esempio, gli Usa dovessero decidere d’intervenire.
“Intanto sappiamo benissimo che, tanto Israele quanto l’Ucraina, sono dei partner, non sono degli alleati. Questa è la questione di fondo, tanto è vero che la Nato non ha mai inviato armamenti in Ucraina, li ha inviati un gruppo di contatto ad hoc”, chiarisce il direttore della Nato Defense College Foundation. Ma immaginiamo che cosa potrebbe succedere se ci fossero degli attacchi, per esempio, contro delle basi americane.
“Sono già avvenuti. Che io sappia la Nato non ha nemmeno convocato il Consiglio Nord Atlantico per l’articolo 4, che prevede consultazioni su richiesta di un alleato per le questioni di sicurezza più importanti. Ricordiamoci peraltro che, quando Osama Bin Laden attaccò gli Stati Uniti, furono gli europei a proporre l’invocazione dell’articolo 5, non gli Stati Uniti che, anzi, erano persino riluttanti, salvo poi capire l’utilità politica di una mossa del genere”, ricorda Politi a proposito dell’invocazione da parte degli Stati Uniti, in risposta all’11 settembre, dell’articolo che stabilisce che un attacco armato contro uno Stato membro, o contro più Stati membri, venga considerato un attacco diretto contro tutti i membri dell’Alleanza.
Quindi, in caso di attacco alle basi americane, forse ci sarebbe una consultazione formale ma, ricorda ancora Politi, nel caso del Vietnam “non è che allora la Nato si occupò del fatto che forze americane venissero attaccate dai Viet Cong o dal Vietnam del Nord. Si preoccupò piuttosto del fatto che sempre più truppe venissero spostate in Vietnam e stessero meno in Europa, ma erano altri tempi”. D’altronde, conclude il direttore della Nato Defense College Foundation, “la Nato non può fare quello che non è chiamata a fare. Il Trattato del Nord Atlantico è stato scritto proprio dagli Stati Uniti, che non volevano coinvolgimenti fuori area. Poi, che la Nato in questi 30 anni si sia occupata di interventi a favore della sicurezza internazionale, generalmente con un mandato Onu, è un altro paio di maniche”.
-Foto Nato Defense College Foundation-
(ITALPRESS).