All’Onu la sfida delle mafie nell’era dei social media

 di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, mercoledì si è discusso di mafia, social media e intelligenza artificiale. Un tema che sembra uscito da un film distopico e che invece riguarda, come ha ricordato più di un relatore, “la realtà di oggi”. La conferenza internazionale “Crimine organizzato nell’era dei social media”, promossa dalla Fondazione Magna Grecia in collaborazione con la Missione Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, ha riunito magistrati, parlamentari e studiosi italiani per riflettere su come la cultura mafiosa si sia trasformata nell’ecosistema digitale.

La delegazione è stata accolta alla Missione dal Rappresentante Permanente d’Italia all’ONU, Ambasciatore Maurizio Massari, che ha ricordato come “la lotta alle mafie faccia parte del DNA repubblicano italiano” e ha sottolineato che il 15 novembre prossimo, a venticinque anni dalla Convenzione di Palermo, si celebrerà la Giornata internazionale contro la criminalità organizzata transnazionale. Ad aprire i lavori al Palazzo di Vetro è stato il Deputy Permanent Representative d’Italia all’ONU, Ambasciatore Gianluca Greco, che ha definito la digitalizzazione del crimine “una sfida globale che nessun Paese può affrontare da solo”.

Dopo l’introduzione del presidente della Fondazione Nino Foti, che ha insistito sul valore educativo e internazionale della missione, ha preso la parola il professor Marcello Ravveduto dell’Università di Salerno, autore della ricerca presentata nel convegno. Ravveduto ha illustrato la mappa della cosiddetta “mafiosfera”, l’ecosistema digitale dove la mentalità mafiosa si diffonde e si trasforma: “Le mafie usano i social per creare modelli di potere e seduzione. Attraverso musiche, emoji e simboli costruiscono un linguaggio che normalizza la violenza e la rende popolare“.

Il professore ha poi confermato a Italpress che la sua ricerca continuerà in collaborazione con la Fondazione Magna Grecia per sviluppare linee guida di digital intelligence antimafia, “perché serve una risposta culturale e tecnologica insieme”. La presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, ha portato a New York il suo allarme: “Abbiamo trovato decine di profili TikTok riconducibili a boss detenuti o ai loro familiari. Questi video raccolgono migliaia di like, normalizzano il male e fanno apparire i criminali come eroi”. Colosimo ha spiegato all’Italpress che sta lavorando con la Polizia Penitenziaria per introdurre tecnologie in grado di bloccare i telefoni cellulari nei penitenziari: “Dobbiamo interrompere subito la comunicazione tra i boss e l’esterno. Ogni like è un messaggio di consenso, ogni visualizzazione è ossigeno per le mafie”. Ma la presidente ha anche sottolineato la necessità della contronarrazione digitale: “Quando si cerca ‘antimafia’ su TikTok, i video più visti sono quelli del procuratore Gratteri. Questo dimostra che i giovani vogliono capire, non solo imitare”.

Il momento più atteso è arrivato con l’intervento del procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, che ha collegato la lotta alle mafie al tema della sovranità tecnologica. “L’intelligenza artificiale oggi è nelle mani di due soggetti americani, Elon Musk e Sam Altman,” ha spiegato. “Gli Stati Uniti hanno il monopolio e possono accedere ai nostri dati per motivi di sicurezza. E se un giorno non fossimo più alleati come oggi, chi avrebbe in mano le nostre comunicazioni, le nostre indagini, la nostra sicurezza?” Intervistato da Italpress dopo il dibattito, Gratteri ha ribadito: “Bisogna far capire al mondo quanto le mafie siano diventate pervasive. Sono ricche, connesse e condizionano la cultura e l’economia. Non possiamo più restare indietro. L’Europa deve costruire la propria intelligenza artificiale e difendersi dal rischio di dipendenza tecnologica”. Ha poi lanciato un messaggio diretto al governo: “È ora di comprare i jammer per impedire l’uso dei cellulari nei penitenziari. Ci penso da dieci anni. Non bastano più le parole”.

Francesco Saverio Romano, presidente della Commissione per la Semplificazione, ha spiegato che “una pubblica amministrazione inefficiente è terreno fertile per l’illegalità”. Romano ha anticipato che la sua Commissione proporrà misure per semplificare i procedimenti e ridurre le aree d’opacità che permettono alle organizzazioni criminali di infiltrarsi “anche nel web e nella gestione dei dati pubblici”.

Il docente Antonio Nicaso, esperto di criminalità organizzata e professore alla Queen’s University del Canada, ha sottolineato che “le mafie non conoscono confini” e ha invitato a “passare dal follow the money al follow the flow: oggi bisogna seguire i flussi digitali oltre a quelli finanziari”. L’appello di Nicaso è stato chiaro: “Alla globalizzazione delle mafie bisogna contrapporre la globalizzazione dell’antimafia”.

Il presidente della Corte dei conti dell’Umbria, Antonello Colosimo, ha invece posto l’accento sull’impatto economico del fenomeno: “L’illegalità digitale corrompe anche la percezione della legalità economica. Quando un impiegato pubblico guadagna mille euro e compra una Mercedes da duecentomila, si radica l’idea che la corruzione non faccia male a nessuno”.

Durante il convegno è intervenuto anche Ronald J. Clark (CEO di Spartan Strategy & Risk Management ed ex Deputy Under Secretary for National Protection al Dipartimento della Sicurezza interna USA), che ha parlato in inglese e ha sottolineato i pericoli legati all’evoluzione delle mafie nel mondo digitale. Clark ha avvertito che le organizzazioni terroristiche apprendono tecniche criminali attraverso i network del crimine e che il web rende assai più difficile la scoperta di reati finanziari: “Rubare in banca con una pistola comporta circa il 60% di rischio di arresto, mentre frodi e furti online hanno solo il 2% di probabilità di essere scoperti”. 

-Foto ufficio stampa Fondazione Magna Grecia-
(ITALPRESS).

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