di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Vent’anni di tavoli, rinvii e resistenze: ora l’Europa sembra davvero pronta a firmare l’accordo con il Mercosur, la comunità economica di Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay che ricorda, in piccolo, la nostra vecchia CEE. Il testo è già sulla scrivania del Collegio dei Commissari: tutto è pronto e toccherà agli Stati membri e al Parlamento mettere il sigillo. Questa vicenda insegna una cosa: le decisioni cruciali non arrivano quasi mai nei tempi tranquilli, maturano invece quando la pressione si fa insostenibile. Ed è proprio quello che è accaduto. I dazi americani calati come colpi di spada e un contesto internazionale avvelenato da guerre e tensioni hanno costretto l’Europa a smettere di tergiversare. Per anni il dossier era rimasto ostaggio del protezionismo di casa nostra, alimentato dal timore di vedere schiacciate le produzioni locali. Come se davvero potessimo vivere in una teca, impermeabili a un mondo dove la regola è semplice e spietata: qualità e prezzo, nient’altro. Le opposizioni più accese sono venute da Francia, Polonia e Italia. Invece di convincere cittadini e produttori delle opportunità, i governi hanno agitato scenari da tragedia: dalle escargot d’Oltralpe alla ‘nduja calabrese. Alla fine, come sempre, le acque si sono calmate grazie alla promessa di compensazioni europee.
Resta la domanda: saranno soldi per spingere la competitività o l’ennesimo sussidio che alimenta rendite parassitarie? Perché è chiaro: non è il mercato a distruggere i nostri prodotti, ma l’assistenzialismo che li tiene immobili. Il trumpismo e la crescente rete di autocrazie mondiali hanno chiarito un fatto: il mondo non è più quello rassicurante che abbiamo conosciuto negli ultimi ottantanni. Gli avversari sono sempre lì, ma gli amici non lo restano per principio: solo per convenienza. Ecco perché l’Europa ha accelerato comprendendo l’importanza di aprire nuovi mercati aperti e convenienti, firmando intese con Brasilia, Buenos Aires, Montevideo e Asunción. Non si tratta solo di aprire a un’area di 300 milioni di abitanti, ma di costruire un ponte verso un continente destinato a crescere, con domanda esplosiva in energia, infrastrutture, agroalimentare e tecnologia. I vantaggi sono evidenti: meno burocrazia, dazi abbattuti, più spazi per imprese e consumatori e così si colmano i vuoti dei dazi USA. In Sudamerica vive una diaspora europea fatta di milioni di italiani, tedeschi, polacchi: un capitale culturale che può trasformarsi in leva economica.
Al tempo stesso, l’intesa è un baluardo contro la penetrazione aggressiva di Cina e Russia, che da anni lavorano per radicarsi in quella nella regione. Non è solo commercio: è geopolitica, ed è cruciale non farsi trovare impreparati. Tutto risolto, quindi? Non proprio. La sfida vera comincia adesso: trasformare questo accordo in un motore di crescita e innovazione, e non nell’ennesimo capitolo di sussidi e rinvii, per aprirsi in modo nuovo anche ad altri commerci. La storia corre più veloce di noi: chi si ferma è perduto. Se l’Europa saprà leggere questa lezione, anche altri dossier – l’energia la difesa alle innovazioni – potranno finalmente beneficiare di quella consapevolezza che oggi ha imposto l’urgenza.
– foto IPA Agency –
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