Made in Carcere, anche le mascherine diventano “sostenibili”

Trasformare il tempo “sospeso” della quarantena in un tempo “attivo” grazie alla produzione di mascherine da donare a chi ne ha bisogno. È la risposta alla crisi legata all’emergenza Covid-19 di Made in carcere, il brand dedicato alla produzione di oggetti “sostenibili” che coinvolge le donne detenute di alcune carceri del Sud. Sono già oltre 6 mila le mascherine realizzate e distribuite sul territorio. Made in Carcere è considerato un modello di impresa sociale e si inserisce nel Progetto BIL (Benessere interno lordo), avviato nell’ambito del bando “E vado a lavorare” della Fondazione con il Sud, che ha l’obiettivo di favorire l’inclusione socio-lavorativa delle persone detenute nel Mezzogiorno, costruendo una rete di relazioni socio-professionali. Borse, braccialetti, cuscini, presine, accessori e gadget personalizzati, tutti realizzati con materiale da recupero, permettono di dare una seconda possibilità a chi si trova in carcere. Un’iniziativa che crea una catena di solidarietà e risulta utile per il reinserimento successivo al periodo di detenzione. Questi oggetti unici sono realizzati in un vero e proprio “laboratorio sartoriale” organizzato all’interno delle carceri. L’iniziativa, poi, coinvolge anche i minori detenuti rendendoli pasticceri impegnati nella preparazione di biscotti.

La consueta attività, però, anche in questo settore, ha subito un blocco dovuto alla diffusione del virus. I bisogni del territorio hanno determinato la necessità di riconvertire la produzione. Anche le imprese e le attività del Sud dedicate al sociale e fortemente legate alla comunità si stanno, quindi, reinventando per affrontare la crisi. Le restrizioni delle norme anti-contagio hanno inciso sul lavoro ma non hanno frenato la voglia di fare delle imprese sociali del Mezzogiorno. Così anche le detenute del carcere di Lecce, durante il periodo di quarantena, possono usufruire, grazie alle videochiamate, della formazione a distanza, in collegamento diretto con le sarte che continuano a trasmettere l’arte del cucire. Le mascherine realizzate da circa 13 donne delle carceri di Lecce e Trani sono dotate di filtro in Tnt che può essere sfilato e sostituito, mentre l’involucro può essere lavato e riutilizzato. I prodotti delle detenute pugliesi sono colorati, con stampe fantasiose, ma anche ecologici perché, come riassume all’Italpress la fondatrice di Made in Carcere, Luciana Delle Donne, “il rispetto dell’ambiente ci renderà liberi”. Dopo una prima fase di produzione e donazione gratuita, Made in Carcere ha potenziato il commercio delle mascherine online e ha studiato, prodotto e avviato la vendita di un “nuovo modo di protezione” con filtri ecosostenibili. Una soluzione per ripartire dallo stop forzato, dovuto all’emergenza coronavirus.

“Tutte le persone seguite da Made in Carcere hanno acquisito non solo la competenza tecnica delle sartorie ma anche le competenze trasversali per poter affrontare la vita e qualsiasi altro nuovo lavoro”, afferma Delle Donne. “Con il BIL – spiega – lo scenario attuale ci obbliga a una ridefinizione delle priorità con buon senso. Al momento ci si sta dedicando principalmente al trasferimento delle competenze, il modello di impresa sociale e così via. Saranno quindi coinvolte le sartorie sociali per recuperare le competenze artigianali. Stiamo ripensando a come ripartire potenzialmente in modo diverso. L’emergenza COVID-19 ci impone di attivare quanti più laboratori possibili per produrre mascherine ad uso civile: Lequile, Lecce, Taranto e Bari. Le carceri di Lecce e Trani sono già attive, mentre Matera e Taranto devono essere avviate”.

(ITALPRESS).

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