L’Italia verso una promozione del rating? Per gli analisti “il 2026 è cruciale”

ROMA (ITALPRESS) – L’Italia si è guadagnata la credibilità sul campo, ora tocca alle agenzie di rating allinearsi. Con Parigi nel caos, il debito tricolore è diventato il piatto forte. Solo dall’ultima asta di Btp a 7 e 30 anni il Tesoro ha incassato 18 miliardi di euro con una domanda che ha superato qualsiasi aspettativa: 217 miliardi. A riprova dell’attrattiva della carta italiana, gli investitori esteri si sono aggiudicati più del 70% dei titoli.

Questo scenario – spiega a MF – Milano Finanza Luigi De Bellis, responsabile research team di Equita, riflette una combinazione di fattori: disciplina fiscale, stabilità politica e più fiducia da parte degli investitori internazionali. Il 2026 sarà un anno cruciale per la Finanza pubblica italiana, con l’obiettivo di riportare il deficit sotto il 3% del Pil e uscire dalla procedura per disavanzo eccessivo. Ma prima toccherà alle agenzie di rating aggiornare il loro giudizio sull’Italia. Fitch, Moody’s e Dbrs hanno tutte assegnato al Bel Paese un outlook positivo, mentre S&P e Scope restano più prudenti (stabile).

Secondo Carlo Bodo, responsabile obbligazionario di Ersel Asset Management Sgr, è una situazione che apre a scenari interessanti: tra i nomi che potrebbero muoversi a breve spiccano Moody’s (21 novembre) e Fitch (19 settembre). Per la prima – si legge sul quotidiano – il discorso è delicato. Moody’s ha un rating Baa3 sull’Italia, cioè l’ultimo gradino dell’investment grade, quello che separa i titoli italiani dalla fascia “spazzatura”. Un eventuale passaggio a Baa2 sarebbe, quindi, molto più di un semplice upgrade tecnico: significherebbe consolidare la solidità del debito pubblico e – spiega Bodo – eliminare, almeno per qualche anno, il rischio che i grandi fondi internazionali debbano liquidare i Btp per vincoli regolamentari. Fitch, invece, già da tempo segnala margini di miglioramento e potrebbe spostare il giudizio a BBB+.

Alberto Villa, responsabile equity research di Intermonte, non ha dubbi: “L’agenzia che potrebbe procedere con un upgrade è Moody’s, sia perché è l’unica che tiene Roma sul livello più basso dell’investment grade sia perché sarà l’ultima a esprimersi a fine novembre. Avrà quindi a disposizione anche le ultime notizie sul fronte della Legge di Bilancio”.

Ovviamente, aggiunge Paolo Geuna, credit sales strategist di Banca Akros, anche gli outlook positivi da parte di Fitch e Dbrs (17 ottobre) lasciano aperta la porta a un miglioramento del rating. Azioni che in ambedue i casi porterebbero il giudizio a BBB+, in linea con S&P (10 ottobre). Cosa cambierebbe per i mercati in caso di promozione? Prima di tutto lo spread. Un upgrade riduce la percezione di rischio, e quindi il differenziale Btp-Bund ne dovrebbe beneficiare, superato il cono d’ombra gettato dal recente peggioramento di quello francese. “Potenzialmente potrebbe rivedere i minimi di agosto come primo obiettivo” a 77,6 (livello di aprile 2010), prevede Geuna.

Ma l’effetto, aggiunge Bodo, sarebbe particolarmente evidente sulle scadenze più lunghe. Questo perché i titoli a 2 o 5 anni risentono soprattutto delle mosse della Bce, mentre i Btp a 10, 15 o addirittura 30 anni reagiscono in maniera più forte a un miglioramento del rating sovrano. È qui che si concentra l’interesse degli investitori globali, pronti ad aumentare l’esposizione sulla duration quando cala il rischio di credito. Gli effetti si estenderebbero subito anche ai bond corporate. “Le grandi aziende italiane – Enel, Eni, Snam, Terna, ma anche Intesa Sanpaolo e Unicredit – beneficiano di un ‘ombrello’ statale: se lo Stato paga meno per finanziarsi, lo stesso accade alle imprese”, continua Bodo.

Tuttavia, occorre tener conto delle potenziali turbolenze politiche al di fuori dall’Italia, oltre che delle potenziali vendite di titoli a lungo termine da parte dei fondi pensione olandesi, con asset totali che sfiorano i 1800 miliardi, in vista dell’implementazione, tra il 2026 e il 2027, della riforma che porterà dal sistema a prestazione definita a quello a contribuzione definita. Questo comporterà una minor necessità di bond a lungo termine in portafoglio, a favore dell’investimento azionario. Di conseguenza, la parte a lungo e lunghissimo termine potrebbe essere presa in esame più avanti, suggerisce Villa.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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