FISCO, EDILIZIA E INDUSTRIA PER RIPARTIRE

Credo che di questi tempi bisogna porsi una domanda: qualcuno si sta occupando della nostra industria?

Autorevoli governanti affermano che con i propositi di accorciare i tempi di andata in pensione, di elargire il reddito a chi non ce l’ha, di assunzioni nella Pubblica Amministrazione ed altre provvidenze di redistribuzione, si potranno garantire spinte per l’economia, facendo leva sui consumi. Queste tesi, come dovrebbe sapere il ministro Tria, possono avere certamente quest’effetto, ma alla sola condizione, (soprattutto per chi ha un debito pubblico altissimo) di avere sotto controllo ed in efficienza, ogni caposaldo che ci porta crescita del reddito nazionale, per quello che riusciamo a vendere nel mercato interno e nei mercati internazionali. I consumi interni, come si sa, vanno male a causa delle tasse eccessive che pesano sui salari e sulle pensioni. Nonostante fino a qualche mese sembrasse che fosse la volta buona con la flat tax, poi, bruscamente, ci è stato annunciato che se ne dovrà parlare non si sa quando. Penso che sarebbe stata l’unica iniziativa utile che avrebbe gratificato l’attuale maggioranza di governo in cerca spasmodica di consensi, e aiutato considerevolmente famiglie ed imprese.

L’industria delle costruzioni, in tutte le economie, viene utilizzata come volano per sostenere il PIL , attraverso la costruzione delle abitazioni, opere pubbliche e manutenzioni. Ma questo comparto così essenziale, ha subito colpi sempre più dolorosi: abitazioni oberati di crescenti tasse, opere pubbliche e manutenzioni, non sostenute da denari pubblici, per la crescente opposizione anti cemento. Per avere idea della decisivita’ dell’uso anticiclico dell’edilizia nella economia, basti elencare i tanti settori industriali che vengono coinvolti nelle opere: il ferro, l’acciaio, il legno, i laterizi e ceramiche, materiali elettrici e idraulici, cemento, plastiche e vetro, ed ancora tanti altri. Mi ha sempre molto colpito il detto molto comune in Francia, usato per significare la strategicita’ del settore, che poggia sull’insieme delle produzioni prima elencate; dice: “quand le batiment va, tout va”, quando l’edilizia va tutto va. Si spera ora che almeno sulla scia del clamore drammatico del ponte di Genova e dei crolli di altre strutture, palazzi, e di strade nazionali, provinciali e comunali (gran parte non mantenute da tempo), si apra una stagione straordinaria manutenzione.

Poi l’industria manifatturiera che nel periodo 2015-2017 aveva dato segni importanti di ripresa, nell’ultimo anno ha subito cedimenti. Ad esempio nel 2017, il valore aggiunto conquistato dagli italiani nelle manifatture (+3,8), è stato superiore a quelli rispettivi di Germania (+2,7), del Regno Unito (+2,3), della Francia (+1,7). Tuttavia dalla fine dello scorso anno, venendo meno il vantaggioso costo del petrolio e una congiuntura favorevole dei mercati internazionali che hanno favorito i prodotti Made in Italy, si sta registrando un calo del valore aggiunto, che coinvolge in qualche modo anche i nostri concorrenti europei. Ora, datosi che dalle manifatture traiamo buona parte del Pil, ci si aspetterebbe che il Governo investisse in modo importante per l’industria, giacché risulta ignorata.

Non abbiamo scelta, dobbiamo trarre maggiore vantaggio da questo caposaldo economico, ed arrivare in tale modo ad un equilibrio più sostenibile tra ciò che guadagniamo è quello che spendiamo. Speriamo che in questi tempi contraddittori per la nostra Nazione, si possa fare tesoro del concetto che espresse Cicerone nel 55 A.C. Così ammoniva i Romani; evidentemente erano soggetti alle stesse preoccupazioni odierne, indicando i comportamenti più appropriati per ottenere la buona economia: “la finanza pubblica deve essere sana; il bilancio in pareggio; il debito pubblico ridotto; la popolazione deve imparare a lavorare invece di vivere di sussidi pubblici”.

Raffaele Bonanni

 

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