COSA FAREMO QUANDO TORNEREMO “LIBERI” ?

Credo che ognuno di noi (sono ottimista) stia pensando: cosa faro’ domani, dopo la liberazione fisica dagli “arresti domiciliari”? La quarantena fu attenuata dall’ “Io resto a casa”, mantra che segnalo’ subito entusiasmo creativo, tipico degli italiani; poi ci fu la correzione ironica (quegli “arresti”), l’entusiasmo momentaneo delle balconate canore e in un crescendo drammatico la noia, il fastidio, la rabbia, la depressione, la ribellione. La strada. Ah, non vedo l’ora. Il traffico incasinato, il clacson cretino, il semaforo che ha continuato a lampeggiare anche inutilmente, come tanti che parlavano senza dire niente. Ci sara’ anche, sono sicuro, chi avra’ al contrario difficolta’ a mettere il naso fuori: l’ho visto fare nel ’45, dopo la Liberazione, e non solo dai nuovi imboscati ma da chi aveva anticipato la sindrome di Stoccolma adattandosi alla prigionia della guerra che – sentivo dire – aveva i suoi pregi. Primo: la irresponsabilita’. Credetemi, dico il vero perche’ c’ero e sono sicuro che questa paurosa detenzione cambiera’ un po’ tutti, chi piu’ chi meno, suggerendo ai piu’ ragionevoli adattamenti a un mondo inevitabilmente nuovo, forse peggiore, agli audaci rivoluzioni copernicane, ai fatalisti Inshallah. E non dico per dire.
La paura ci avra’ anche rieducati e ci laveremo sempre piu’ spesso le mani e il resto, anche se ricordo bene l’insegnante di scienze che raccomandava di non lavarsi troppo: rischieremmo di deteriorare la pelle “rendendola piu’ secca, piu’ vulnerabile, piu’ fragile, soggetta a infezioni”- come ribadisce il dottor Google.
Qualcuno si dedichera’ a profonde letture rieducative in rete, gli spendaccioni andranno dallo psicologo (seconda forma della sindrome di Stoccolma), altri da qualche vannamarchi, avrebbe successo Milingo che magari tornera’ in circolazione, come ha promesso un anno fa al Tg1.
Io ascoltero’ sempre piu’ spesso, speranzoso, musica ad hoc, chesso’, la “Sinfonia del Nuovo Mondo” di Dvorak o l’amatissimo “The Final Countdown” degli Europe. Ma soprattutto, felice di aver vinto la battaglia per tornare a vedere le partite di calcio, mi atterro’ ai passi fondamentali del Protocollo varato dalla Federcalcio con la consulenza dei medici sportivi, di Malago’ e Spadafora, evitando Baci e Abbracci, che non e’ la casa di moda sopravvissuta brillantemente a Vieri e Brocchi ma la tradizionale gestualita’ italica che abbiamo trasmesso al mondo intero.
Spero abbiate presente quelle scene di gioia, quelle ammucchiate post gol che l’ultimo derby (pandemico) Juventus-Inter ha affidato alla storia, magari con la faccina del primo “positivo” famoso (calcisticamente sempre) Paulo Dybala che ha preso con se’ anche la fidanzata (e non parliamo di Atalanta-Valencia, andata e ritorno): non si vedranno piu’, neanche in campo. E neanche le strette di mano, calcistiche o…civili. Nonche’ la gia’ predicata “distanza sociale” che piano piano ci togliera’ un’altra virtu’ italica, l’espansivita’.
La peste e la guerra di solito fanno cosi’: aggiungono – magari per poco – riservatezza o timidezza ai nostri gesti esteriori.
L’immagine piu’ bella dell’ultimo dopoguerra e’ sicuramente il Bacio di Time Square, fotografato il 14 agosto 1945 alle 17.51 mentre George Mendonsa e Greta Zimmer Friedman – che non erano innamorati – fra la folla si’ incollavano dolcemente le labbra per festeggiare la pace. Vero? Falso? Fate voi….

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