Con Beteyà l’integrazione è di moda

Beteyà è un marchio di moda etica nato nell’ambito del progetto Sud Arte & Design, sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD. Otto ragazzi, tra siciliani ex disoccupati e migranti, dopo essere stati opportunamente formati, sono stati inseriti per lavorare su vari fronti dalle vendite alla grafica.
La linea di abbigliamento total look da uomo, donna e ragazzi comprende camiceria, pantaloni, t-shirt, felpe tutti realizzati con stampe e grafiche che richiamano i colori e gli elementi più tipici dell’Africa. Inoltre la quota di 1,33 euro di ogni capo venduto viene devoluta ai progetti che l’Associazione Don Bosco 2000 sta realizzando in Senegal e Gambia. Paesi in cui, grazie al progetto della migrazione circolare, si aiutano i migranti che sono arrivati in Sicilia a rientrare dopo aver acquisito competenze nei settori dell’agricoltura e della gestione d’impresa.
Grazie al loro impegno, si stanno realizzando orti nei villaggi più poveri della savana senegalese e gambiana, per creare opportunità di sviluppo sostenibile in grado di dare un’alternativa alla migrazione forzata di tanti giovani africani. Il resto dei proventi serve a sostenere l’attività del brand.
Parliamo di Beteyà con Gabriella Giunta, dell’ufficio comunicazione Don Bosco 2000.

Come nasce il progetto e perché avete pensato di operare nel settore moda?
Il progetto Beteyà prende il via nel febbraio 2017 quando un network di partner dell’entroterra siciliano propone “Sud – Arte & Design” per il bando “Beni Confiscati 2016” di Fondazione con il Sud, con l’obiettivo di creare un progetto di sviluppo per il territorio che avesse alla base il sostegno alla legalità, l’integrazione, l’eticità, la sostenibilità e l’esclusività. Del network facevano parte l’Associazione Don Bosco 2000 (capofila), il D.A.S. Società Cooperativa, Confcooperative Sicilia, il Comune di Villarosa e l’Associazione Culturale Bellarosa. Ad agosto 2017 il progetto “Sud – Arte & Design” viene finanziato e il 4 ottobre si avvia il progetto dell’atelier nei beni confiscati alla mafia. Nel 2018 si ristrutturano i beni, si definiscono il visual e il piano di marketing, si visitano fiere e fornitori per individuare macchinari e materiali, si inizia il corso di formazione dei giovani del territorio. Alcuni di loro selezionati per il progetto grafico realizzano una work experience presso un’azienda torinese e inizia lo studio dei prototipi per il catalogo mentre si lavora all’allestimento del negozio a Catania e al sito dell’e-commerce https://www.beteya.com/. I valori che connotano il brand Beteyà sono riconducibili gli stessi che hanno mosso i soci fondatori e che informano progetto e business idea. In concreto, visto che il laboratorio nasce all’interno di beni confiscati alla mafia, il valore cardine su cui vengono innestate tutte le scelte aziendali è rappresentato dalla legalità. Inoltre, poiché tra le risorse umane sono presenti ragazzi extracomunitari ospiti dello SPRAR, altro valore fondante dell’azienda non può che essere l’inclusione/integrazione. A fianco a questi elementi valoriali ci saranno, quali corollario dei già elencati, l’eticità e la sostenibilità dei materiali utilizzati e delle scelte di marketing che andranno fatte. La scelta del settore moda è derivata da un’analisi di marketing che ha individuato nell’abbigliamento un settore nel quale le competenze dei giovani avrebbero potuto essere sviluppate in base alle predisposizioni dei giovani, soprattutto i migranti. Molti giovani infatti avevano dimostrato competenze nel settore della sartoria e in effetti la loro abilità è risultata la chiave della buona riuscita del progetto. Tali competenze sono state poi sviluppate attraverso tirocini e work experience presso aziende qualificate. Il team di lavoro, praticamente inalterato dall’avvio del progetto, è composto da giovani siciliani e migranti, insieme per dare unicità ai capi realizzati e decorati.
Anche se il settore di vendita è l’abbigliamento, oltre al settore della produzione dei capi, migranti e siciliani sono impegnati anche nei settori della grafica (per realizzare i visual del progetto) e della vendita (nei negozi). Il team creativo è composto da un grafico siciliano di grande esperienza e da 2 giovani, entrambi migranti che hanno svolto un periodo di formazione per acquisire competenze soprattutto sugli strumenti grafici. L’elaborazione dei visual e la decorazione dei capi è quindi frutto di un lavoro di squadra, eterogenea rispetto all’esperienza, all’età e alla formazione culturale. Il marchio Beteyà è registrato e tutti i visual sono utilizzati solo ed esclusivamente in prodotti o supporti grafici che sono riferiti alle collezioni moda e home (per la casa)”.

I ragazzi stranieri hanno contaminato i prodotti con il loro background culturale?
Questo è un passaggio fondamentale. La strategia complessiva del progetto mira a mettere insieme capitali umani diversi (migranti e italiani) per la realizzazione e la vendita di prodotti che rappresentano la sintesi tra due diversità culturali come quella africana e quella europea. In questo contesto, attraverso una fase compatta di formazione tra giovani al di sotto dei 29 anni siciliani e migranti (con buon livello di scolarizzazione) si son messe in atto una serie di dinamiche già sperimentate per far diventare la diversità tra le risorse umane una ricchezza e non un limite.

Qualche ragazzo pensa di proseguire autonomamente l’attività grazie alle competenze apprese?
Al momento i ragazzi sono tutti impegnati full time nel progetto ma le competenze acquisite sicuramente sono una base di esperienza fondamentale per la crescita personale.
I due shop sono stati chiusi durante la pandemia: come avete reagito a questa grave emergenza?
In osservanza delle norme anti-covid entrambi i punti vendita, quello centro a Catania e quello nel centro commerciale sono stati chiusi e hanno riaperto quando è stato possibile, anche se chiaramente il progetto ha subito una battuta d’arresto non indifferente. Anche lo shopping online ha avuto un calo drammatico ma adesso abbiamo ripreso a pieno regime. Durante le prime settimane dell’emergenza il laboratorio Beteyà è stato convertito alla produzione di mascherine per garantire la sicurezza degli operatori dei centri di accoglienza gestiti dall’associazione Don Bosco 2000, capofila del progetto”.

“Credo sia importante sottolineare – sottolinea Agostino Sella, presidente di Don Bosco 2000, capofila di Beteyà – i valori del progetto, principalmente la legalità, la sostenibilità e l’integrazione. La presenza di ragazzi migranti e ragazzi siciliani è garantita in tutti gli step del progetto”.
“Infine, il valore della legalità è il cardine dell’idea progettuale, non soltanto – conclude Stella – in prospettiva di “antimafia” ma in termini di rifiuto di tutto ciò che è illegale, nel senso più ampio del termine, anche nei confronti di tutto ciò che lede la dignità delle persone, a prescindere dalla loro razza o religione. Nel progetto convergono le storie di tutte le persone che ci stanno lavorando, ognuna delle quali apportando un contributo unico. Non a caso, il visual denominato “people” rappresenta il cuore del progetto con un grande spirito di aggregazione e lavoro di squadra”.
(ITALPRESS).

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