“Comandante”, Mostra Venezia apre nel segno dell’eroismo che salva vite

VENEZIA (ITALPRESS) – La bellezza del gesto, quasi una questione estetica, anche se il valore è prima di tutto umano, morale: non si lascia un uomo in mare, la vita si rispetta… E’ questa la lezione che “Comandante” di Edoardo De Angelis consegna alla serata d’apertura dell’80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Messaggio non da poco in tempi di guerra come quelli che stiano purtroppo rivivendo e soprattutto per un paese come il nostro, che è in prima linea sul fronte marino degli immigrati, dove di vite da salvare ce n’è tantissime. Va messo in primo piano questo aspetto della vicenda del Comandante di Regia Marina Salvatore Todaro rievocata col petto gonfio d’orgoglio da De Angelis, anche per fugare il mormorio di simpatie militariste o di piazzamento politico governativo del film, che potrebbe sviare l’attenzione dei commenti dalla sua sostanza umanistica. Chè di questo essenzialmente racconta “Comandante” di Edoardo De Angelis: degli uomini (di mare) e della loro storia antica, del rigore dei loro codici, del loro valore. E lo fa passando attraverso una ritrattistica umana piena, plastica nella definizione dei tipi, dei caratteri, delle lingue e dei linguaggi, nella ricostruzione dei gesti, dei culti e delle culture, delle storie, delle tradizioni e delle narrazioni…
In cima a tutto c’è il Salvatore Todaro di Pierfrancesco Favino, impettito ma pregno di una solida umanità che, nel ritratto offerto da De Angelis, si basa su un carisma marziale venato di un misticismo esoterico e di un senso dell’onore antico. Monarchico convinto, il che vuol dire non fascista nel gergo della Regia Marina italiana, e poi cattolico praticante, ma non di meno avvezzo a pratiche esoteriche dallo yoga all’occultismo: i suoi uomini lo soprannominarono “Mago Baku” perchè le sue intuizioni a volte avevano il sapore di vere e proprie premonizioni… Imbrigliato nel busto e nei dolori procurati dall’incidente aereo che aveva segnato la fine del suo servizio sugli idrovolanti dell’Aeronautica Militare, Todaro si offre con la posa statuaria di un uomo che attraversa l’ombra del suo destino: insulta malamente il medico che gli ricorda che il Fascismo è sofferenza e dedizione e ascolta con dolcezza la moglie incinta, che gli chiede di accettare la pensione d’invalidità e ritirarsi in campagna con lei.
Ma poi lo troviamo di nuovo nei ranghi della Regia Marina, al comando del sommergibile atlantico Cappellini, in missione nello Stretto di Gibilterra per bloccare il traffico tra Stati Uniti e Regno Unito. Lo spirito di corpo percorre lo scafo tanto quanto i cavi elettrici, i manometri e l’acciaio: De Angelis cerca una tensione unica tra la macchina e i corpi con intuizioni degne del cinema di Francesco De Robertis, maestro di Rossellini e antesignano del nostro neorealismo. Ma il regista napoletano preferisce la strada di un umanesimo proliferante di umori e evocazioni, cerca una rappresentazione esoterica, intrisa di un umano senso dell’eccezionale e di una profana pulsione spirituale, che offrono al film un ordito potente. Il dramma s’innesca quando il sommergibile italiano intercetta un mercantile belga che, nominalmente neutrale, apre il fuoco: i cannoni sparano, il cargo affonda, i superstiti annaspano nelle fredde acque notturne, Todaro dà l’ordine di salvarli, mettendo a repentaglio la vita del suo equipaggio e contravvenendo alle disposizioni del comando. La Storia narra che il Cappellini sbarcò i superstiti sulle coste delle Isole Azzorre, varie testimonianze dicono che, al comandante belga che gli chiese grato perchè li aveva salvati, Todaro rispose più o meno: “Perchè noi abbiamo 2000 anni di civiltà sulle spalle”. E poi tornò a combattere contro le macchine, non contro gli uomini. De Angelis riassume questa frase in un più lapidario: “Perchè io sono italiano”, trovando in ciò il senso dell’ispirazione che anni fa lo ha spinto a raccontare questa storia, quando “in tempi di porti italiani chiusi ai naufraghi” l’Ammiraglio Pettorino, capo della Guardia Costiera, raccontò la vicenda straordinaria di Salvatore Todaro. E’ questo che sta a cuore a De Angelis nel suo cinema e anche in “Comandante”: la parabola umanistica, il senso superiore degli eventi, un certo stupore per la magia dell’esistere implicita alla sofferenza e alla complessità ombrosa dell’essere umani. Favino gli sta dietro con carattere, ma va detto che il valore di questo film è eminentemente corale e si esplicita in un casting straordinario in cui la trasversalità delle culture e delle lingue trova una perfetta comunione.

foto: ufficio stampa film “Comandante”

(ITALPRESS).

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