BILANCI POSITIVI, MA IMPRESE CHIEDONO CERTEZZE

    Volge al termine la campagna assembleare di aprile con molte grandi imprese che hanno presentato i loro conti agli azionisti. La prossima tornata arriverà a giugno. Sono momenti sempre molto attesi per tastare il polso allo stato reale della nostra economia, attraverso quello che è l’indicatore più rappresentativo, la chiusura del bilancio e le anticipazioni sull’andamento di quello in corso. Ebbene, stando a quello che è ci è stato comunicato, dobbiamo essere decisamente ottimisti sulla salute delle nostre imprese, fatte salve ovviamente le eccezioni.

    Dopo gli anni di ombre e luci delle cosiddette partecipazioni statali, oggi la quasi totalità delle nostre aziende ha natura privatistica, paga di tasca sua (non sempre, vedi alla voce banche) le perdite accumulate e remunera i propri azionisti con gli utili registrati. Se andiamo a vedere i dati di questi giorni vediamo che il Paese reale dell’economia marcia bene, regista utili, assicura la tenuta se non la crescita dell’occupazione, veicola bene i propri prodotti. Le cifre del nostro export battono tutti i record, i nostri marchi sono altamente apprezzati nel mondo. Scendiamo un po’ nel particolare. La doppia recessione e la tegola delle sofferenze non ha fiaccato le banche. Abbiamo punte di eccellenza, basta vedere i conti di Intesa Sanpaolo.

    Una banca ormai ai vertici delle classifiche europee che ha saputo liquidare al meglio il peso delle sue sofferenze, a prezzi di smobilizzo ragionevoli, assai migliori di tante sue concorrenti. Questo settore è quello che maggiormente preoccupa, perche uscito con le ossa rotte per la congiuntura sfavorevole, la cattiva gestione di molti amministratori, la debolezza di una serie di istituti. Ma il repulisti che la crisi ha generato induce a pensare che si sia di fronte ad una svolta positiva, avendo come riferimenti quegli istituti, vedi appunto Intesa Sanpaolo, che hanno saputo gestire al meglio il lungo momento negativo.

    Il settore energetico è nel pieno di una profonda trasformazione, che porta a parlare di vera e propria transizione verso un nuovo modello, in cui carbone e petrolio non la faranno più padroni, anche in questo caso abbiamo alcuni campioni come Eni ed Enel che partendo da modelli prettamente pubblici hanno saputo affrontare la sfida del mercato. Ma in questo settore i casi di eccellenza non mancano, sono numerosi.

    Il discorso potrebbe ampliarsi ad altri comparti, esempi di situazioni altalenanti con modelli positivi e altri zoppicanti abbondano. Nella editoria, per esempio, a casi di nuovo successo come Rcs si affiancano altri in cui il ripensamento su nuovi modelli di comunicazione stenta a consolidarsi. Non possiamo però sottacere delle situazioni di crisi che tardano a risolversi, a partire da tutti quei tavoli pendenti di fronte ai ministeri del lavoro e delle attività produttive.

    I casi più eclatanti portano il nome di Ilva e Alitalia (guarda caso realtà nelle quali la mano pubblica influisce non poco) dove offerte già arrivate e altre in arrivo corrono rischi di potersi affermare a causa di logiche non propriamente di mercato. E così mentre il Paese tutto sommato va, grazie alla bravura delle sue imprese, ne abbiamo un altro che non riesce a darsi un Governo. Quanto si può andare avanti così, cosa rischiano le nostre aziende da questa vacatio di potere esecutivo? Poco dal punto di vista immediato, molto in prospettiva. Ci sono misure per il contenimento del costo del lavoro che vanno implementate. Ci sono aumenti dell’IVA che vanno evitati. Ci sono finanziamenti consistenti già stanziati per avviare importanti opere infrastrutturali che vanno erogati. Ci sono riflessioni strategiche che un Paese serio deve compiere. Abbiamo già perso la chimica, le telecomunicazioni, di fatto il trasporto aereo, ed altri settori rilevanti. Perdere ancora tempo significherebbe autodistruggersi.

    Giuliano Zoppis

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