A Venezia George Clooney star crepuscolare in ‘Jay Kelly’ di Baumbach

ROMA (ITALPRESS) – Il tramonto della star o, se preferite, la resa dei conti dell’uomo che c’è dietro il divo: nulla di particolarmente nuovo sotto il cielo di “Jay Kelly”, la commedia di Noah Baumbach che porta il titolo del suo protagonista e mette in scena a tutto schermo George Clooney.

Ed è infatti lui il grande protagonista di questa seconda giornata di Venezia 82, nonostante la lista di arrivi sul red carpet odierno sia lunga e non solo per merito di questo film. Ma stiamo sul pezzo è occupiamoci intanto di questa commedia sul rutilante mondo delle star cinematografiche, che l’indipendente blasonato Noah Baumbach porta in competizione alla Mostra del Cinema sotto l’egida Netflix: un’ode al viale del crepuscolo di una star hollywoodiana che è sostanzialmente l’immagine allo specchio di George Clooney.

Jay Kelly è un divo piacente, amatissimo, simpatico, bravo, premiato, ricercato… Praticamente tutte le caratteristiche che fanno parte della carta d’identità hollywoodiana di Clooney. Solo che Jay Kelly è anche un uomo che inizia a fare i conti con l’età che avanza e con le carenze della sua vita privata: due matrimoni alle spalle, due figlie nei confronti delle quali ha avuto le immancabili disattenzioni, un vecchio padre malato e sopra le righe.

A fargli da balia c’è la solita piccola corte che attornia i divi hollywoodiani, mediando rapporti, modulando le situazioni, procurando ingaggi, tenendo a freno eccessi e depressioni… Primo fra tutti Ron, il suo agente di sempre, interpretato da Adam Sandler, amico fidato e tutor perfetto di una carriera da star sul filo della simpatia e dell’immancabile arroganza. Poi c’è Liz, la addetta stampa interpretata da Laura Dern, che deve mediare i problemi sorti per una scazzottata di Jay con un amico e rivale di gioventù (Bill Crudup), che gli rimprovera di avergli rubato la carriera partecipando al suo stesso provino.

Le conseguenze dell’incontro in realtà vanno ben al di là dell’occhio nero che Jay si ritrova, perché hanno attivato in lui la macchina dei fantasmi di una vita condotta sull’onda del successo, lasciando indietro dopo l’amico anche la prima figlia, che non riesce proprio a perdonarlo, e un po’ tutte le relazioni che contano. Ed è per questo che alla fine decide di accettare il premio alla carriera che un festival toscano vuole attribuirgli, cogliendo l’occasione per mettersi su un treno che da Parigi lo porta in Italia, sulle tracce della seconda figlia diciottenne, in viaggio con gli amici prima di partire per il college.

E allora il film di Baubach diventa un frenetico viaggio in cerca di conferme professionali e di certezza affettive, in cui trascina l’intera ciurma di assistenti, chiamando a raccolta persino il vecchio padre (Stacy Keach) e cercando inutilmente di trascinare entrambe le figlie. La memoria emerge in dissolvenza incrociata col presente, rievocando davanti ai suoi occhi i momenti salienti del suo passato e facendo arrivare al pettine i nodi di un’esistenza che ha avuto alti e bassi, colpe e meriti, innocenze e disattenzioni, incomprensioni e pentimenti mancati.

George Clooney rivaleggia con se stesso in simpatia e cordialità popolare nelle lunghe scene del viaggio in seconda classe sul treno che attraversa la Francia, dove è riconosciuto da tutti e compie anche un atto di eroismo nella vita reale invece che su un set. Le relazioni personali non sono certo destinate a trovare una soluzione proprio ora che il crepuscolo della vita vede tutti instradati sui propri percorsi, ma resta la carriera, celebrata sullo schermo durante la cerimonia di consegna del trofeo, e la relazione profonda con Ron, il suo agente ed amico.

Il film non è molto di più di tutto questo: celebra il mito della star, le luci e le ombre delle sue due vite, quella pubblica e privata, e gioca di rimando con George Clooney. Noah Baumbach avvita con precisione la sceneggiatura, lavora con tutto il cast e eccede in caratterizzazioni, sacrificando un po’ il tocco più lieve delle sue commedie da indipendente sull’altare della produzione Netflix.

La rappresentazione dell’Italia e degli italiani troppo caratterizzata fa un po’ cadere il tono dell’insieme e spiace che ci sia inciampata, sia pur con simpatia, persino Alba Rohrwacher. Resta il dubbio sulla collocazione nella competizione di Venezia 82: un fuori concorso sarebbe stato sicuramente più idoneo e meno esposto, garantendo il parterre al red carpet.

– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS)

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