A VENEZIA ARRIVA MARTIN EDEN CON LUCA MARINELLI

Un viaggio nel Novecento, seguendo l’idea – forse un’utopia – che l’arte liberi la mente, o meglio l’Uomo. E’ questo il “Martin Eden” con Luca Marinelli che Pietro Marcello porta a Venezia 76 come secondo film italiano della competizione. La matrice è il grande romanzo di formazione di Jack London, opera trasversalmente autobiografica che Marcello adotta sostanzialmente con l’intento di fare un ideale autoritratto d’artista. Sì, insomma, “Martin Eden” c’est moi verrebbe voglia di dire, nella misura in cui questo giovane maestro del nostro cinema è un’anima bruciata dal sacro fuoco dell’arte, che è sapere e volontà di vita, traccia ideale di un cambiamento che prende forma nella realtà: “Martin Eden racconta la nostra storia, la storia di chi si è formato con la cultura incontrata non in famiglia, o a scuola, ma lungo la strada”, dice il regista, “è il romanzo degli autodidatti e di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione, restandone in parte deluso”.

Le pagine di Jack London sono un classico, la storia di un giovane marinaio che un atto di eroismo porta nella casa di una famiglia borghese e qui incontra l’amore: quello per la bella Elena e, di riflesso, l’amore per i libri, le parole, il sapere, la cultura, tutto ciò di cui quella splendida ragazza è una sorta di sacerdotessa. Per suo amore Martin decide di voler diventare uno scrittore e si impegna con tutta la sua ferrea volontà per ottenere il suo scopo. Una lotta contro un mondo che lo vuole tenere ai margini, lo condanna a essere povero e quindi ignorante, lo guarda con sospetto sia dal basso dei suoi compagni di misera vita che dall’alto di quella società borghese che lo considera un esaltato, un visionario. Lui trova i libri dai rigattieri, li legge, inizia a scrivere, prima a mano e poi a macchina, imbusta i manoscritti dei suoi racconti e li spedisce a ogni editore, vedendoseli puntualmente restituire. Mentre la sua Elena lo incoraggia con moderazione, lo sostiene nel suo intento, ricambia il suo amore nonostante le perplessità della pur indulgente famiglia, dice che lo aspetterà quei due anni che Martin s’è dato per ottenere il successo come scrittore.
Luca Marinelli si fa carico con forza e decisione  di questo umanista visionario nato dal basso, incarnandone la presenza veemente, intransigente, scolpita forse più nella tensione ideale voluta dal regista che non in quella febbricitante passione sentimentale e intellettuale che appartiene al personaggio creato da Jack London. Pietro Marcello struttura il racconto come un corpo cinematografico trasparente, disincarnato in un’epoca storica che attraversa tutto il Novecento e tiene insieme più fasi, differenti pulsioni sociali. Così come smaterializza la California del romanzo in una Napoli eterna nella sua miseria e libertà, trovata tra vecchi palazzi, vicoli, periferie e campi. Pietro Marcello non rinuncia alla costruzione del suo linguaggio segnato da inserti di repertorio, contaminazioni quasi astratte, musica popolare. La sua visione del Martin Eden è anche una visione del confronto tra il sapere di una borghesia che cerca di liberare gli sfruttati e la ricerca di consapevolezza storica e sociale di chi sfruttato lo è da sempre. Il dialogo tra posizioni filosofiche è lo scontro tra un giovane visionario che vede solo nella cultura conquistata dal basso lo spazio per la liberazione dell’Uomo e le posizioni di chi vorrebbe insegnare ai poveri a migliorare la loro miseria senza liberarsi davvero.  Il film è potente, intransigente ma affascinante e può trovare la via di un dialogo concreto con il pubblico. Si indebolisce un po’ nella parte finale, quando Martin raggiunge il successo e diventa una sorta di dannato della fama che brucia il suo stesso mito. Ma resta il ritratto di un personaggio forte e paradigmatico, un’icona della pulsione del sapere contrapposta al vuoto dominante. In tempi come questi, un santo della consapevolezza che può dire ancora molto al nostro presente.

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