Serve un nuovo modello per rifondare lavoro e welfare

Roma, Senato comunicazioni della Presidente del Consiglio in vista del prossimo Consiglio Europeo, nella foto l'aula

di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – In una società disattenta, l’attenzione si accende solo di fronte al clamore: un disastro annunciato dall’incuria, uno scandalo improvviso, un’emergenza gridata. Poi tutto svanisce, sostituito dal clamore successivo. Ma le vere urgenze non fanno rumore: richiedono di fissare una rotta, di riconoscere che viviamo un cambio d’epoca che non si governa con strumenti del passato. Negli ultimi cinquant’anni l’aspettativa di vita in Italia è passata da 69 a oltre 83 anni: un progresso straordinario che ci colloca tra i Paesi più longevi al mondo. Ma questo dato, che racconta il successo di medicina e benessere, si accompagna a un drammatico crollo delle nascite: nel 2024 sono stati registrati appena 379 mila nuovi nati, il minimo storico dall’Unità d’Italia. Significa che ogni anno perdiamo popolazione attiva, mentre gli over 65 ormai superano il 24% degli italiani. Una piramide demografica capovolta che mette in crisi il lavoro, il welfare, la sostenibilità del sistema pensionistico. La risposta non può essere rassegnazione: servono politiche strutturali per la natalità – dagli incentivi economici ai servizi per le famiglie – e strumenti che valorizzino la popolazione attiva, trasformando l’invecchiamento in una risorsa attraverso l’inclusione dei senior nel mondo produttivo e formativo. Sul fronte dei saperi, il ritardo è evidente.
L’Italia investe in istruzione solo il 4,1% del PIL, contro una media europea del 4,8, e la spesa in ricerca resta ferma all’1,5% del PIL, lontana dall’obiettivo del 3% fissato dall’UE. Scuola e università, ancora ancorate a modelli di sessant’anni fa, non dialogano abbastanza con il mondo del lavoro e non preparano adeguatamente alle sfide della rivoluzione digitale e ambientale. Occorre una rivoluzione: programmi più flessibili, potenziamento dell’istruzione tecnico-scientifica, formazione continua per tutte le età, perché il futuro non si affronta con competenze del passato. C’è poi il tema migratorio, che gestiamo come emergenza anziché come opportunità. Eppure i dati parlano chiaro: secondo l’Istat, senza un contributo stabile di immigrati il nostro Paese perderebbe oltre 5 milioni di lavoratori entro il 2040. Servono flussi regolati e selezione di competenze: immigrati preparati, culturalmente compatibili, inseriti in percorsi di integrazione, capaci di coprire i vuoti in sanità, edilizia, industria e servizi. Nel frattempo, sanità e welfare, colonne della coesione sociale, scricchiolano. Il Servizio sanitario nazionale spende il 6,4% del PIL, meno di Germania e Francia, mentre le liste d’attesa si allungano e la medicina territoriale resta debole.
Qui non bastano correttivi: serve un nuovo modello che investa nella prossimità, nella prevenzione, nell’assistenza domiciliare, mettendo al centro il cittadino e non solo le strutture. In questo scenario, l’idea di un patto sociale accolta al Congresso della CISL da Giorgia Meloni può essere un’occasione storica. Governo, parti sociali e imprese devono ridefinire insieme le priorità: incentivare la natalità, aggiornare le competenze, favorire l’inclusione di immigrati qualificati, premiare il merito e sostenere chi innova. Non è tempo di rincorrere il clamore. È tempo di costruire, di unire energie e visioni per riportare l’Italia su una traiettoria di crescita. Ogni nuova epoca pretende risposte nuove: il futuro non si aspetta, si prepara.

– Foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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