Vittorio Gassman, 20 anni senza il “mattatore”

C’è un frammento televisivo che offre di Vittorio Gassman l’immagine dell’attore valente, tanto padrone della tecnica da rendere un capolavoro pure la lista della spesa. C’è lui, in posa come un attore consumato, intento a leggere una volta il menu di un ristorante, un’altra volta le istruzioni per il lavaggio contenute nella targhetta di una maglia e l’altra ancora gli ingredienti di un frollino. Quel divertissement catodico in uno show Rai al quale decise di concedersi, danno la dimostrazione di quanto Vittorio Gassman – ironico e colto – abbia giocherellato con il suo talento; un talento di un gigante, abile, profondo, capace di trasformare in arte persino la lettura delle analisi cliniche. Sono passati venti anni (29 giugno) da quando il cuore dell’attore, il “mattatore” del cinema italiano, ha smesso di battere. Ma il suo talento appare ancora oggi immortale. Il suo volto, la sua mimica, le sue interpretazioni hanno dato la cifra stilistica a pellicole entrate di diritto in quel patrimonio culturale rappresentato dalla settima arte. I suoi personaggi sono spesso dei guasconi impenitenti, a volte eccessivi, sopra le righe, affabili cialtroni dagli occhi malinconici.
Forse il prototipo per eccellenza è Bruno Cortona, l’esuberante protagonista de “Il sorpasso”, che irrompe nella vita monotona e riservata del giovane e timido universitario interpretato da Jean-Louis Trintignant. Nella scena finale, per intenderci quella dell’incidente, il suo sguardo rapito dall’immagine dell’auto finita nella scarpata sublima il film, racconta di Bruno più di due ore di pellicola. Sguardo di chi crede di essere invincibile, padrone del destino, salvo poi piegarsi al volere di una sorte avversa quanto potente. C’è sempre stata una nota malinconica in quegli occhi. I suoi personaggi sono spesso ammantati di una falsa spocchia, ambiscono all’eroismo, quasi all’epico, ma alla fine si accontentano di sfangare la giornata. Il suo fisico, quel suo fascino dignitoso, hanno dato ai suoi personaggi un’area di signorilità, di superiorità, di forza. Mai malvagio. Donnaiolo impenitente, a volte cinico, altre generoso. Come affermò in un’intervista, i suoi personaggi hanno rappresentato l’italiano, con qualche pregio ma ancor di più qualche difettuccio trascurabile. La sua carriera è una luminosa costellazione di maschere, sempre altere, fiere ma mai boriose. Ne “I soliti ignoti” è “Peppe er pantera”, il pugile suonato che va sempre al tappeto, aspirante ladro che dopo il colpo sfumato, per timore di finire nelle mani delle guardie cerca di mimetizzarsi tra gli operai cacciandosi in un posto per lui ancora peggiore: un cantiere al lavoro. Ne “La grande guerra”, al fianco di Alberto Sordi è il soldato milanese un po’ vigliacco e un po’ traditore ma che si riscatta in quel sacrificio che lo rende protagonista di un atto eroico.
Nei due Brancaleone, Gassman è un prode male in arnese, malconcio combattente a capo di un drappello ancora più scalcinato, banda di reietti e pusillanimi, avventurieri con più fame che fama. La collaborazione con Dino Risi gli permisero di farsi cucire addosso personaggi diventanti icona della commedia italiana. Epiteti usati come titoli. Ecco quindi “Il mattatore”, “Il tigre”, “Il profeta”. Poi arriverà un altro capolavoro della cinematografia italiana, “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola. Accanto a Nino Manfredi e Stefano Satta Flores interpreterà Gianni Perego, sposato con una donna ricca e rozza, ma che farà credere agli amici ritrovati (causa equivoco) di essere come loro: un morto di fame. Nel mezzo ci sono le partecipazioni in film oggi considerati cult come “I mostri” e “I nuovi mostri” (delizioso l’episodio del ristorante diviso con il suo grande amico Ugo Tognazzi), ed ancora “In nome del popolo italiano”, “Profumo di donna”, “La terrazza”, “Telefoni bianchi”, “Il deserto dei tartari”, “Anima persa”. Negli anni ‘80 e ‘90 altri titoli, altri successi, non solo firmati da Dino Risi, ma ancora nuove importanti collaborazioni con Monicelli (“Camera d’albergo” e “I picari”), Scola (“La famiglia” e “La cena”), Corbucci (“Il conte Tacchia”) Citti (“Mortacci”). La sua carriera annovera pure una parentesi hollywoodiana con “Sleepers”, film del 1996 di Barry Levison. Gassman, che mattatore lo era pure sul palcoscenico, non ha però mai abbandonato il teatro, portando in scena da Pirandello a Shakespeare, da Miller a Flaiano, da Dumas padre a Montale. La sua voce, la sua intonazione, l’impostazione del corpo, la sua arte tutta lo hanno reso così duttile e plasmabile da essere capace di confrontarsi con qualsiasi testo. Capace persino di misurarsi con il menu di un ristorante, con le istruzioni per il lavaggio contenute nella targhetta di una maglia o con gli ingredienti di un frollino.
(ITALPRESS)

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