LA MUSICA DEI LAGER DIVENTA MEMORIA / FOCUS

“Un giorno dovremo far diventare questa musica normale, cioè la musica di tutti”. A dirlo il maestro Francesco Lotoro, compositore e direttore d’orchestra che, in occasione della Giornata della Memoria, ha suonato al pianoforte, nel Salone degli Affreschi dell’Università di Bari, le partiture musicali, composte da donne e uomini prigionieri nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale e successivamente ritrovate. In quegli anni terribili, in ogni campo di concentramento si è sviluppata una creatività artistica e musicale che rappresentava uno spazio vitale per poter liberare ed esprimere sentimenti di gioia e di evasione attraverso il linguaggio universale della musica: si cantava per resistere, per non perdere la dignità, per non rassegnarsi alla morte intellettuale. 

“La musica – per il maestro Lotoro – poteva servire alla razione di cibo in più, a entrare nelle grazie del comandante e ancora, teneva in vita tutto quello che il Reich intendeva distruggere, cioè la creatività e l’ingegno”. Ed è proprio il maestro Lotoro, attraverso un lavoro di accurata ricerca trentennale, a restituire creatività e ingegno a questi spartiti e ridare giusta dignità a queste note che suonano un inno alla vita, che perdura oltre la tragica morte dei compositori. 

“Qualcuno – ha detto il maestro – si meraviglia che in questa musica ci sia anche un’esplosione di allegria e di buonumore. Non dimentichiamo che il musicista – ha sottolineato – non canta il campo, non è il vate del lager, il musicista esorcizza, capovolge, vede il futuro, quindi – ha continuato – crea testamenti nel caso lui non debba sopravvivere”. 

In ogni campo di concentramento si è sviluppata una creatività artistica e musicale, che rappresentava uno spazio vitale per poter liberare ed esprimere sentimenti di gioia e di evasione attraverso il linguaggio universale della musica: si cantava per resistere, per non perdere la dignità, per non rassegnarsi alla morte intellettuale. 

“In una visione del futuro – ha spiegato il maestro – questa musica salverà la nostra di vita, perché questa musica ha il diritto di diventare normale. Non adesso – ha precisato – che siamo ancora nella generazione del work in progress, nella ricerca piena, ma fra 30-40 anni si suonerà Haas, Smith, così come oggi suoniamo Beethoven. Questa musica – ha ribadito – entrerà nei teatri, nei teatri di marionette. C’era musica anche per i teatri di marionette, in tutti i luoghi deputati. E la gente – ha spiegato – dovrà quasi dimenticare che è stata scritta in un campo di concentramento. La musica è bella, perché – ha aggiunto – non sappiamo dove è stata scritta. Un giorno dovremo far diventare questa musica normale, cioè la musica di tutti”. 

“Forse non perderà mai quella connotazione, dove è stata scritta, in che luogo, ma quella – ha proseguito – dovrà essere la filigrana della banconota che si vede solo in controluce, questa musica – ha concluso – ha il diritto di riprendersi il posto che le spetta nella storia della musica del 900”. 

Una ricerca che dura da 30 anni, nata con uno spirito, ha assicurato il maestro Francesco Lotoro che “non è mai lo spirito con cui continuano. Ogni musicista – ha spiegato – fa queste cose per passione, perché è onnivoro, è cannibale per natura, vuole allargare i propri repertori. Poi – ha continuato – ci sono cose che possono diventare un compito per la vita e il musicista si assume questo compito. La cosa positiva è che quella che poteva essere una ricerca che pesava su una persona, oggi è un fenomeno che inizia a diventare generazionale. Non sono più solo, ma non da oggi, da parecchio”. 

Anche l’Università si è interessata a questo progetto, al punto da far riecheggiare nel Salone degli Affreschi dell’Ateneo barese le note degli uomini e delle donne rinchiusi nei campi di concentramento. 

“Abbiamo voluto insieme al maestro Lotoro e alla professoressa Tavani – ha spiegato il rettore dell’Università di Bari, Antonio Uricchio – organizzare questo evento, perché stiamo portando avanti un progetto insieme al maestro. Dedicheremo uno spazio e soprattutto raccoglieremo nella nostra biblioteca multimediale – ha annunciato – le partiture che sono state raccolte dal maestro nei campi di concentramento. Questo evento – ha continuato – è anche l’occasione di poter affrontare una tematica così drammatica come quella della Shoah attraverso la musica, perché la musica tocca le corde del cuore e il cuore – ha sottolineato Uricchio – è chiamato a reagire dinanzi a tragedie così grandi, come quelle dell’olocausto e soprattutto attraverso la musica – ha concluso – vogliamo affidare un messaggio che non abbia tempo e che possa essere raccolto dai nostri giovani”. 

Oltre all’Università, al progetto si sono interessate anche scuole, manager, produttori televisivi, produttori cinematografici. “Sto girando il mondo – ha detto Lotoro – e finirò di girarlo entro il 2020, perché – ha spiegato – una produzione con sede a Gravina di Puglia, mi permette di andare a recuperare le ultime partiture, prendere gli ultimi sopravvissuti che magari non hanno scritto in materia musicale, ma hanno ancora la memoria nel cervello. E’ un fenomeno quale doveva diventare, perché – ha continuato – la musica è un fenomeno collettivo e condivisibile. Hanno creato un enorme testamento musicale i cui i numeri attuali, 8mila partiture e 10mila documenti, saranno sicuramente moltiplicati negli anni a venire”.

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