SASSUOLO, BOLOGNA E PARMA “LIBERATI”, TORNANO AD ALLENARSI NEL RISPETTO DELLE NORME

Mentre la Spal conferma la sospensione delle attività, il Sassuolo, “liberato” da un decreto della Regione Emilia-Romagna, decide di cominciare da lunedì gli allenamenti individuali facoltativi. E’ il primo club, ma subito dopo anche il Bologna ha annunciato che, da martedì, i campi di Casteldebole (ma non gli spogliatoi che resteranno chiusi così come al Mapei) saranno a disposizione dei tesserati che ne vorranno usufruire, quindi è toccato anche al Parma, nel frattempo anche Sardegna (Cagliari) e Lazio (Roma e biancocelesti) hanno dato l’ok per le sedute singole. È l’unico modo per evitare il fallimento o una montagna di ricorsi tale da imporre non solo un ulteriore danno al calcio professionistico ma anche alla lentissima italica giustizia o al Tar del Lazio che anni fa ribattezzammo – impazzava il povero Gaucci, a Catania – Bar del Lazio o Tar dello Sport. Il ministro Spadafora ha molto gradito – poco o nulla conoscendo della storia del calcio – il blocco governativo al campionato francese che già mobilita tribunali, primo il Lione di Rudi Garcia (te pareva!) che nella protesta ha rammentato le ultime famose parole della ministra dello sport, signora Roxana Maracineaunu: possibilista, prometteva la ripresa in agosto. Tutto il mondo è pays.
Da noi l’invadente Luttwak va da Floris a denunciare lo stato della giustizia in Italia, si prende qualche formalissimo “ma come si permette?” ma nel merito ha pienamente ragione. La giustizia italiana nella denuncia della Commissione europea è sempre più inefficiente; i tempi per risolvere contenziosi civili e commerciali aumentano. Nel 2016 ci volevano 514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado, nel 2017 ce ne sono voluti, in media, 548. Un mese in più. E’ il dato più alto di tutta Europa. Ma l’Italia è maglia nera anche per le sentenze di secondo grado e terzo grado. Oltre due anni per un secondo pronunciamento (843 giorni), e tre anni e mezzo per la sentenza definitiva (1.299 giorni). Non brilla neppure la giustizia amministrativa (quella che ci interessa): nel 2017 ci sono voluti 887 giorni per decidere in questi tribunali. Paradossalmente, in casi estremi, ricordo che in altre situazioni d’emergenza furono consigliate due soluzioni ai tanti casi portati in giudizio: o il taglio di Alessandro definito “il nodo di Gordio”, o il taglio di Massimino – “C’è chi puó e chi non puó. Io può” – forse insolente ma molto pratica attuazione e esibizione di potere.
Il ricorso a una mobilitazione permanente dei “puniti” dal cosiddetto Piano B” – stop definitivo alla Serie A e agli altri tornei con interventi anomali d’emergenza sulle sante regole del campionato – come dicevo è giá annunciato non solo dai classici mugugni ma da minacce concrete di impugnarne le decisioni.
E mentre il presidente federale Gravina è l’unico coerente nella richiesta di riaprire i giochi – salvo diversa decisione del Governo, non di un singolo ministro – le altre parti – sindacati allenatori e giocatori – alternano possibilismo a intransigenza: mentre i loro iscritti vogliono scendere in campo quando si potrà, ottenendo intanto il giusto diritto ad allenarsi anche singolarmente, come hanno deciso di fare Sassuolo, Bologna e Parma, “liberati”: in strutture a porte chiuse, nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento. È un buon inizio. Solo il mantenimento dei patti con Paytv e sponsor potrá consentire un adeguato soccorso alle serie minori in nome dell’ignorata solidarietà. Se c’è un’occasione per riparlare del calcio come “metafora della vita” è questa. Il resto, una burla.
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(ITALPRESS).

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