In settimana ne sapremo di più sulla querelle finanziaria tra Vivendi ed Elliott sulla composizione del nuovo Cda di Telecom, in attesa dei decisivi appuntamenti delle assemblee del 24 aprile e del 4 maggio. Una contesa di natura burocratica-finanziaria dietro la quale si cela la battaglia finale per il controllo dell’ex gestore pubblico di telefonia. Ma la novità della settimana appena trascorsa e le attese per quella che arriva, sono tutte incentrate sul ruolo che assumerà la Cassa depositi e prestiti dopo l’annuncio di voler partecipare al capitale di Telecom con una quota del 5%. Annuncio che ha suscitato più di un mal di pancia fra gli osservatori per il modo con il quale è arrivato sul mercato, che ha visto una impennata decisa della quotazione del titolo che, detto per inciso, deve essere ancora acquistato dalla longa manus economica dello Stato. Cdp dovrà sborsare all’incirca 750 milioni per quella quota, con soldi che, è bene ricordare, arrivano dalla raccolta postale, ergo dal risparmio di famiglie e pensionati. Questa operazione è stata voluta da un Governo uscente, da vertici in scadenza, da governanti entranti. Insomma da chi attualmente non detiene vere e proprie leve strategiche per operare con una visione futura. Si dice che lo scopo sia quello di creare una nuova scatola azionaria che porti alla fusione della rete di Telecom scorporata dal tutto con Open Fiber, la realtà societaria detenuta da Cdp ed Enel che lavora alla costruzione di una moderna rete basata sulla fibra ottica.
Quella di Telecom si basa sul rame. Si dice ancora che in questo modo Cdp affiancherebbe alla infrastruttura di rete nelle tlc, quelle già controllate nel settore elettrico con Terna e nel gas con Snam. Si dice. Ma ci si chiede anche il perché di questa mossa, visto che lo Stato già detiene la golden power, ovvero il potere di bloccare azioni societarie che mettano in pericolo l’interesse nazionale. Non sfugge che la decisione di acquisto sia stata concordata con coloro che si presumano essere i nuovi titolari della politica economica, a partire dal M5S e dalla Lega. I primi hanno espressamente affermato che nella fattispecie va dichiarata aperta guerra alla Francia per difendere l’infrastruttura tecnologica e le tlc tricolori. Insomma la politica, come tradizione per Telecom, si schiera; in questo caso a fianco di Elliott sostenendo l’investimento di Cdp.
Dalla privatizzazione prodiana del 1997, quella fatta con la creazione del nocciolino del 6% che controllava il tutto, alle scalate di attori italiani e non, fino ad arrivare ai giorni nostri, in questi 21 anni lo Stato si è formalmente ritirato dalla contesa, ignorando la centralità del settore, lasciando alla influenza della politica il peso maggiore. Adesso la mossa della Cdp, forse da chiarire in modo trasparente, anche perché l’esito del confronto, comunque vada, è scontato. Il controllo rimarrà in mani straniere. Quelle di Vivendi, con la prospettiva addirittura di vendita alla Orange, dello stato francese, o quelle del fondo Elliott. E non sappiamo che intenzioni avranno per il futuro di Telecom. Insomma una non gran bella prospettiva, dovendo ancora giocarsi due importanti partite, che si chiamano Ilva ed Alitalia.