Riforma pensioni: più flessibilità in uscita

Si parla di flessibilità in uscita riferendosi a manovre che rendano più semplice l’uscita dal mondo del lavoro, soprattutto in vista di quanto annunciato per il 2016, anno in cui l’aspettativa della vita porterà i lavoratori a rimandare l’età pensionistica di ulteriori 4 mesi.  Quello della flessibilità in uscita è uno dei due disegni di legge proposti dal Partito Democratico e depositato in Commissione Lavoro. 

 

Riforma pensioni e flessibilità in uscita

Quando si parla di riforma pensioni, la proposta che sembra aver guadagnato più punti è proprio quella della flessibilità in uscita, mossa dal presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. La proposta porterebbe i lavoratori a poter accedere alla pensione al compimento dei 62 anni di età con 35 anni di contribuiti e una penalizzazione massima dell’8%. E’ su questo principio che verte la cosiddetta flessibilità in uscita.

La penalizzazione massima varia in base agli anni di contributi accumulati. Chi ha “solo” 35 anni di contributi vedrà una penalizzazione dell’8% mentre chi, sempre a 62 anni, è riuscito a cumulare 40 anni di contributi, vedrà una riduzione della pensione del 3%. Chi smette di lavorare da 67 anni in poi e ha almeno 35 anni di contributi, avrebbe un assegno pensionistico maggiorato fino a un massimo dell’8%. 

La riforma pensioni con la cosiddetta flessibilità in uscita, prevede anche che, chi ha accumulato 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica, può andare in pensione mantenendo l’assegno al 100%. 

Riforma pensioni e reddito minimo

Se da un lato si parla di flessibilità in uscita, dall’altro si parla di pensione a reddito minimo. Purtroppo, se il Governo deciderà di intraprendere il cammino del reddito minimo, rischierà di trasformare il diritto pensionistico in un aiuto assistenziale. 

Quello del reddito minimo è un provvedimento che mira a dare un sostegno assistenziale senza valutare i contributi versati. In questo modo, molti lavoratori che hanno versato anche 40 anni di contributi, si vedrebbero riconoscere un assegno assistenziale uguale a quello di chi non ha mai lavorato in attesa della pensione. 

D’altra parte c’è da dire che, senza una pensione a reddito minimo, gli italiani con età compresa tra i 55 e i 65 anni che sono rimasti senza lavoro non sarebbero tutelati. 

 

Riforma pensioni e quota 100

Ancora, un altro provvedimento valutato con la riforma pensione del Governo Renzi riguarda la cosiddetta quota 100. La quota 100 è uno dei due disegni di legge proposti dal Partito Democratico in Commissione Lavoro, analogamente alla flessibilità in uscita, anche la quota 100 permette al lavoratore di decidere a che età andare in pensione in base ai contributi versati ma in questo caso si evitano penalizzazioni sull’assegno pensionistico. 

Fonte Foto, Anna De Simone