RIAPRITE LE SALE DA BALLO

Son tanti e rumorosi quelli che non vedono l’ora che gli sia restituita la domenica e la partita di pallone. Tantissimi quelli che silenziosi attendono il ripristino del sabato. Già: la febbre del sabato sera, definizione travoltiana che per ovvie ragioni sarà bene aggiornare, diciamo dunque passione, ma teniamone conto. Non dico della movida, sfogo quasi infantile per rivoluzionari da salotto; o da marciapiede col bicchiere in mano. Ho sentito un famoso disc-jockey milanese lamentarsi: “Impazza la movida mentre per noi, componente invisibile della società, non c’è traccia di liberazione”. E via a vantare gli spazi offerti come da regola dalle grandi discoteche, niente aggregamenti, ballo in libertà. Difficile. Già la parola “discoteca” è un problema; in Romagna, per dire, le hanno chiuse prima del Coronavirus. Ho visto in tivù un proprietario di discoteca annunciare un cambiamento radicale: l’immenso salone disponibile lo adatterà a ristorante, con gli spazi fra i tavoli assegnati secondo norma.
Ma resta il problema: ballare. E non mi si venga a dire che la danza è del diavolo, inadeguata al momento di grande sofferenza, basta guardarsi intorno per vedere quanta licenza si son presi gli italiani dopo l’annullamento del lockdown. Presto si giocherà anche a calcio. Cinicamente, chi vive si dà pace.
Quando finì la guerra, in Romagna, dov’ero io, le Case del Fascio furono sequestrate, ribattezzate Case del Popolo e destinate più al ballo che alle adunate. D’altra parte, la tradizione del Dopolavoro (ferrovieri, postini e via così) era già forte e fortissimo, in quel tempo, l’impegno dei lavoratori. Gli antichi romani avevano offerto al popolo panem et circenses, i nuovi governanti avevano prontamente offerto ai borghesi il Boogie-Woogie all’americana nei night e al popolo il Liscio nel baladur. E al cinema cosa si vedeva? La prima volta che fu possibile, al mitico Fulgor felliniano di Rimini mi portarono a vedere Fred Astaire e Ginger Rogers; tiptap impossibile, swing per tutti. Ma il trionfatore era lui, Secondo Casadei dei Casadei di Gatteo dove anche adesso c’è un immenso baladur. L’autore di “Romagna mia” – ch’è stata spesso usata nel mondo al posto di “Fratelli d’Italia” e “‘O sole mio” – con l’orchestra per ballo liscio aveva più seguaci di Travolta. Il sabato gli operai lasciavano la fabbrica, i contadini i campi, un bel bagno nella tinozza, una bella sbarbata, acqua di colonia, brillantina e via con una lei – moglie, fidanzata – e il classico “signorina permette un ballo?” dei Casanova che da noi si chiamavano birri. Non solo: a ballare ci andavano anche i bambini tutti vestiti da ometti che a sette anni ballavano con una bimba, a dieci facevano fare un giro alla nonna.
Rivedo tutto, come in un vecchio film, e ricordo una cosa: c’era tanto spazio per le coppie danzanti, niente ressa, anche perchè le evoluzioni spazio ne pretendevano, i ballerini non si pestavano i piedi, non sudavano come adesso nelle ammucchiate delle discoteche dove spesso i corpi…separati sì toccano in una promiscuità provocata più dalla quantità di biglietti venduti che da una sana libidine. E allora sapete che dico ai governanti: riaprite le sale da ballo, erudite i ballerini e donate al popolo un altro pò di felicità. Ho parlato con Riccarda Casadei, l’erede di Secondo: gli strumenti sono accordati, i pullmini pronti. Buon viaggio.

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