Rasmus Hojlund oro di Napoli

Si chiama Rasmus Hojlund, la FIFA, sicura di averlo ai Mondiali con la Danimarca, lo presenta così: “Spontaneo, rapace, collaborativo e cinico, rappresenta l’età dell’oro del calcio mondiale”. Anche se, come l’Italia, dovrà vedersela con gli spareggi a primavera. Nel frattempo è l’Oro di Napoli. Un drone pacifico, volteggiante curioso sul “Maradona” come se fosse teleguidato da Angelo Carosi, era stato ingaggiato per una partita storica. Con l’aria che tira, un pre-Natale triste e violento, su Napoli-Juve si era costruita la favola di una grande sfida. Che riguardava due grandi squadre. E due grandi allenatori. Oddio, con tanta generosità. Per la cronaca i due mondi sono ormai largamente separati. C’era voglia di un grande confronto che paradossalmente si reggeva più sulla pazza idea di una Juve rinfrancata dal suo caro Lucio che sulla documentata superiorità del Napoli. E di Conte. Hojlund al 7′ – un gol come uno squillo di tromba – ha subito svegliato i sognatori di parte bianconera, riportando gli spiriti di tutti a una cronaca banale. Poi ha spento anche la luce di Yildiz. E al “Maradona” è tornato “‘O surdato ‘nnamorato”. E la favola continua. Come dico da tempo è un Napoli che aspira a diventare protagonista del Derby d’Italia. Con la Beneamata.
Finita Inter-Como mi sono chiesto se avevo bevuto fiaschi e non bicchieri quando, vedendo giocare il Como, andavo in estasi. Dovrò riprendere tutti i miei scritti e buttarli dopo averli titolati “note di un ubriaco”? Esagero, alcuni commentatori di cui mi fido sono sì feroci con Fabregas ma riconoscono che questa è la seconda sconfitta del Como su quattordici partite (la prima – lecita – a Bologna). E allora? Ho sentito gli interisti sfottenti come nelle migliori occasioni: per fortuna Marotta non ha dato ascolto ai violinisti e ha ingaggiato Chivu invece di Cesc. Ci sta, far questo gioco da ganassa: il pettegolezzo fa passare Fabregas come uno spericolato incursore sul terreno di San Siro, cattedrale del calcio italiano: un dissacrante Tafazzi; e invece io credo che Chivu abbia affrontato il Como dandogli scientemente molta importanza, come fosse un test probante, mettendocela tutta, rinunciando al tatticismo e cercando l’esibizione di potenza che desse alla Beneamata la vera leadership del torneo. Ci ha provato e com’è nella tradizione nerazzurra – forza, bellezza e cinismo – c’è riuscito. E nella trappola c’è cascato il Como. Ma ripensando a un anno fa, di questi tempi, Chivu si faccia prudente: il traguardo tricolore spettava all’Inter poi – da Viva Inzaghi a Abbasso Inzaghi – lo scudetto se l’è preso il Napoli.

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