L’INGHILTERRA APRIREBBE WEMBLEY PER CHIUDERE I TORNEI, COPIONI!

Come sapete, io sono apertamente favorevole alla conclusione comunque del campionato interrotto. Non sparo date, penso che ci si debba attenere alle decisioni di chi ci governa. C’e’ abbastanza anarchia, in giro, perche’ ci si metta anche noi “pallonari” a far casino. L’ho detto: prima si finisce un romanzo, poi se ne comincia un altro. Tempo fa ho scritto un pezzo che non voleva tanto dar consigli ai manovratori federali quanto far conoscere attuazioni altrui – in particolare cinesi, guarda caso – nell’emergenza. Ora leggo che “in Inghilterra la pandemia da coronavirus non ha ancora raggiunto il picco, ma i 20 club di Premier League vogliono finire la stagione e stanno studiando il miglior modo per farlo. Questa settimana sara’ decisiva per fissare la ripresa, con ogni probabilita’ a giugno. Scontato che si giochi a porte chiuse, per limitare i rischi di contagi, la Football Association avrebbe messo a disposizione lo stadio Wembley, dove verrebbero giocate 4 partite al giorno”.
Idea!, hanno esclamato gli amici – invero pochi – di Archimede Pitagorico e di Eta Beta, l’uomo del futuro. Copioni!, direi io se davvero la Premier prendesse questa decisione. Perche’ io la storia di un campionato giocato in un solo stadio in una settimana l’ho vissuta in diretta e gia’ raccontata piu’ d’una volta.
Era l’Ottantuno, fui invitato dal governo cinese che aveva perduto Mao nel ’76 e eliminato prima Lin Biao poi la Banda dei Quattro capeggiata dalla moglie del Grande Timoniere, Jiang Qing. Il nuovo presidente Den Xiaoping, era desideroso di aprirsi, se non alla liberta’, almeno a una stagione di pseudodemocrazia. Forse aveva sentito parlare di “panem et circenses” e chiese all’amico Chen Cheng Da di organizzargli un campionato di calcio. Prima invitarono l’Inter di Mazzola e Beccalossi, finsero entusiasmo, poi invitarono me a spiegare lo sport piu’ popolare del mondo ai giornalisti sportivi, gli unici relativamente preparati (e sicuri per il regime) ad affrontare un tema cosi’ borghese: una decina di giorni fra Pechino, Shangai e Canton, dove vissi pienamente la vicenda calcistica. Dopo avere sperimentato il rigore di Pechino e conosciuto la sua immensa bellezza, la fantasia di Shangai, con annessi dettagli politici e la visita a una grandiosa fabbrica di palloni, ” il Ferrovia”, da esportazione in Asia, finalmente la Cina piu’ umana, occidentalizzata da una Fiera dove vidi la prima Miss Cina della storia e dove il calcio gia’ muoveva conoscenza e competenza.
In quel momento cominciava la fase finale del campionato: dopo le partite giocate nelle province, le vincenti andavano ad incontrarsi in uno stesso luogo e in uno stesso stadio non potendosi permettere di affrontare trasferte di migliaia di chilometri. Vidi un paio di partite e raccontai un calcio “buffo” seguito da un pubblico da teatro che rideva quando un calciatore cadeva, gridava di dolore se si faceva male e applaudiva quando segnava un gol. Le squadre avevano quasi tutte una dotazione di maglie simili: una bianca e una rossa. Rientrato in Italia, mandai a Cheng Chen Da un regalo: la creazione di una dozzina di magliette di vari colori e con l’effige dell’animale che compariva abitualmente nello stemma della citta’. Presuntuosi come sono, se la Premier davvero concludesse il campionato “alla cinese” rivelerebbero di avere inventato anche il calcio.

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