Il nodo Trump e l’errore dei Dem di esasperare lo scontro

DONALD TRUMP

Gli Stati Uniti sono entrati drammaticamente in una crisi politica e istituzionale di grande portata. Taluni hanno sostenuto che la responsabilità sia da attribuire a Trump. Ma nonostante le sue rotture, le sue ruvidezze, le sue spacconate, i suoi comportamenti irrituali e i grandi passi falsi, non credo che la situazione imbarazzante in cui si è caduti sia da addebitare interamente a lui. È comunque preoccupante che il principale pilastro dell’attuale democrazia mondiale possa essere giunto così platealmente a mostrare al mondo la sua debolezza. Certamente non preoccupa la dialettica molto accesa, anche quando quando la polemica si fa molto aspra tra gli attori politici come è accaduto normalmente nella storia statunitense. Ma quando si perde il senso del ruolo di attori quali soggetti principali della democrazia liberale lo sgomento non può che assalirci. Il gioco di maggioranza e opposizione, ambedue importanti per l’efficienza della democrazia, deve essere visto come un unicum.

Quando si smarrisce questo senso e si va alla contrapposizione e non al confronto, è il sistema intero che crolla, e in prospettiva nessuno si salva. Certamente si è dimostrato incauto Trump travolto dalla sua stessa indole nell’irretire i suoi elettori dopo la sua evidente sconfitta. Anche i suoi avversari però, non paghi del suo evidente isolamento, hanno loro stessi esasperato lo scontro parlando e agendo come se si fosse di fronte a un golpe, a una sedizione. E grave è stata l’occupazione simbolica del parlamento da parte di qualche centinaio di persone più pittoresche che assalitrici. I democratici avrebbero dovuto limitarsi a usare il pugno di ferro contro i trasgressori materiali delle leggi, e a condannare sul piano politico, senza appello, la mancanza di contegno del Presidente uscente, nell’uso sconsiderato ed esasperato delle sue convinzioni.

La richiesta di impeachment per deporlo (a sei giorni dall’insediamento), e di interdirlo dai pubblici poteri, dunque non credo sia una buona cosa per la solidità del sistema politico ed istituzionale. Il tentativo da parte dei democratici di inserirsi nelle nelle turbate file dei Repubblicani, avrà più l’effetto di una chiusura a riccio, invece che una condanna “politica” delle inopportune e avventate sparate di Trump. Trump stesso ha avuto modo in queste ore di precisare nettamente ai suoi seguaci con un appello pubblico di non commettere nessuna violazione delle leggi, nessuna violenza, nessun vandalismo nella eventualità di altre manifestazioni di protesta prima e durante la ‘nomination’ di Biden. Dunque si è auto accusato nell’aver esagerato, e conoscendo la sua indole, senza dubbio saranno sembrate ai più affermazioni importanti.

Insomma i problemi politici, anche quelli gravi, si risolvono con la politica, diversamente le conseguenze nel tempo saranno più portate a dare forza ai problemi irrisolti che non si esorcizzano con facilità. Nella società americana, come negli altri paesi democratici, i cittadini avvertono sempre più l’impotenza della politica e delle istituzioni nei confronti dei nuovi dominatori del mondo, che peraltro nascono e si sviluppano soprattutto negli States, come il potere finanziario e i grandi magnati della Rete: Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft. La vittoria di Trump nelle precedenti presidenziali è da attribuire al sentore di moltissimi cittadini che il tycoon fosse più autonomo dai potentati che Hillary Clinton e molti altri dell’establishment democratico.

Se i Democratici vogliono affrontare il Trumpismo dovranno dare dimostrazione di volere affrontare i problemi che hanno originato la sua ascesa, a partire dal dilagare senza regola dei poteri della finanza e delle loro grandi ‘international company’. Mettere la testa sotto la sabbia su questi nodi politici e rifugiarsi nella facile demonizzazione dell’avversario, spacca ulteriormente la politica, esaspera quella parte dell’America che la pensa diversamente, fa restare immutato un assetto di potere che ormai inquieta americani e democratici del mondo in generale.

Raffaele Bonanni

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