Il Food Truck che fa incontrare esperienze e culture

Food Truck si propone di favorire l’inserimento sociale e lavorativo di giovani immigrati presenti sul territorio di Lecce attraverso percorsi di formazione in ambito gastronomico. L’iniziale progetto formativo ha dato vita a ‘Cime di rapa Urban’ e ‘Cime di rapa – street food school’, una vera e propria scuola con studi in aula e laboratorio che consente a giovani aspiranti cuochi di mettersi alla prova preparando prodotti gastronomici legati al territorio.
Lo illustra in maniera più approfondita Elio Dongiovanni, direttore dell’ Agenzia Formativa Ulisse.

Come nasce il progetto?

“Cime di Rapa mette le sue radici sul mercato con il progetto ‘Food Truck’ presentato da Agenzia Formativa Ulisse insieme ai partner Coop Rinascita e Associazione Philos e sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, che non smetteremo mai di ringraziare, nell’ambito dell’Iniziativa Immigrazione 2017. Così abbiamo reso il cibo di strada un mezzo per favorire l’integrazione sociale e generare impatto sul territorio attraverso il lavoro.
La proposta iniziale rispondeva all’esigenza di attuare politiche del lavoro attive per migliorare l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro. Lo abbiamo fatto proponendo a diciotto ragazzi un percorso formativo professionale per la qualifica di Tecnico di Cucina a cui ha fatto seguito, per i sei selezionati, un’azione mirata di accompagnamento al lavoro (con la simulazione di un ristorante didattico) per poi favorirne l’inserimento lavorativo e dunque l’inclusione sociale e l’emancipazione economica. Abbiamo creduto nel loro potenziale, abbiamo trasmesso passione, conoscenze ed etica del lavoro. E’ stato creato un brand commerciale per sostenere il loro inserimento a cui è stato dato il nome di ‘Cime di Rapa’, nome scelto non solo per evocare uno dei prodotti più noti della Puglia ma anche per stimolare la riflessione su quanto sia importante dare una opportunità a tutte le persone che vogliono impegnarsi, quelli che nel modo di dire dialettale, spesso dispregiativo, vengono additati come ‘cima di rapa’. A maggio 2019 i ragazzi hanno così iniziato il loro tour in giro per la Puglia, tra festival ed eventi privati, per preparare le specialità della tradizione italiana. Ci siamo resi conto dell’efficacia del binomio formazione/lavoro e abbiamo applicato il sistema sulla nostra ‘Scuola di Cucina’ concentrando le nostre forze per costruire il futuro dei giovani allievi della scuola e dando opportunità concrete ai più meritevoli, indipendentemente dalla loro condizione socio economica. Per loro abbiamo dato vita al progetto ‘Cime di Rapa – Urban’ un nuovo modello di ristorazione per il brand ‘Cime di Rapa’ che si propone come format ristorativo per tutti quegli allievi che terminato il percorso di studi, pur avendo le capacità, non hanno la possibilità economica di avviare un’attività ristorativa. Sono i nostri allievi i protagonisti del brand Cime di Rapa, oggi per raccontare questo modello di Scuola Lavoro qualcuno parla di Codice Ateco Cime di Rapa. A Lecce in via Oberdan 55 si trova il primo locale, primo di una lunga serie”.

Siete partiti da corsi di cucina o meglio per ‘operatori di cucina’; ora avete una scuola, due truck e un’attività di franchising: i ragazzi che vi operano sono tutti stranieri?

“No. Cime di Rapa è ormai la storia di ogni giovane a cui viene data una grande opportunità, ed è una storia talmente identitaria che le persone per strada quando riconoscono il nostro colore dicono semplicemente ‘Verde Cime di Rapa’. Il nostro è un format tutto italiano e l’Italia è da sempre luogo di cultura, centro del mediterraneo e risultato dell’incontro tra popoli. Non è necessario che siano stranieri ma non vogliamo che sia una discriminante, anzi più Culture si incontrano più è facile diffondere Cultura. Così come non vogliamo che sia discriminante il contesto sociale o economico di riferimento, di fatto lavoriamo con associazioni di supporto a donne vittime di violenza, ragazzi che hanno abbandonato la scuola, persone emarginate e desiderose di imparare un mestiere. Abbiamo molti ragazzi italiani e altri stranieri (anche europei) ma da tutti loro noi pretendiamo lo stesso impegno, la stessa concentrazione e motivazione. Sul campo hanno la possibilità di imparare che bisogna studiare, migliorarsi, che il lavoro ha una sua etica, la brigata le sue regole e loro finalmente una opportunità”.

Quanti piatti offrite? Come li selezionate?

“Tutto nasce dallo studio delle ricette e delle materie prime condotto da Vita Basile, responsabile del prodotto Cime di Rapa e coordinatrice dello staff di cuochi, agronomi, tecnici, docenti. Sul ‘Food Truck – Grill’ prepariamo le pucce marchiate Cime di Rapa farcite nei modi più disparati ma sempre seguendo il fil rouge della tradizione pugliese: puccia con la parmigiana di melanzane, con la seppia e patate, con la salsiccia e cicorie, con la braciola… Sul ‘Food Truck Pasta’ orecchiette fresche con cime di rapa e le alici di Cetara, con polpette al sugo o con pomodoro e cacioricotta e altre varianti di stagione. All’interno dei Cime di Rapa Urban il menù si arricchisce ulteriormente con un progetto di valorizzazione della biodiversità che ha l’obiettivo di recuperare vecchie varietà di semi ormai rare nella grande distribuzione per rievocare gli antichi gusti e sapori del passato. Stiamo recuperando oltre 1600 varietà di ortaggi e legumi, coltivati negli ‘Orti Cime di Rapa’ sparsi in Puglia coinvolgendo coltivatori locali, come il pomodoro nero, il cavolo riccio, il cece rosso liscio delle Murge e tanti altri che vengono recuperati e lavorati per offrire ai clienti prodotti unici e dall’altissimo valore nutrizionale e culturale”.

Come è la risposta degli utenti, anche in questo periodo complesso? Che sviluppo prevedete?

“Non possiamo ancora trarre delle statistiche esaustive perché il periodo che stiamo vivendo non ci consente di lavorare a pieno regime e di misurare la soddisfazione della clientela e l’apprezzamento dei prodotti ma considerando il campione di clienti su cui abbiamo testato le prime ricette la risposta è molto positiva. Puntiamo da gennaio di mettere a coltura le varietà biodiverse di semi recuperati per presentare un menù unico al mondo nel rispetto delle stagionalità e lo facciamo attraverso cento ettari di terreno e dei contratti in campo con i contadini locali. Stiamo già catalogando la nostra ‘Dispensa Cime di Rapa’ che in futuro sarà disponibile per l’acquisto all’interno dei nostri ristoranti, che diventeranno non solo luoghi di ristorazione ma veri musei della biodiversità. Puntiamo così a portare la biodiversità in una catena ristorativa, a creare un prodotto unico in un processo standardizzato. Questo ci permetterà di formare sempre nuovi giovani, aprire nuovi punti e inserirli in un contesto consolidato, rendendo il progetto sempre replicabile e addirittura auto-replicabile. In estate inauguriamo i due ristoranti nelle masserie a Maruggio e Martina Franca con altre due brigate di allievi, dando vita al modello ‘Cime di Rapa – Farm’ e poi nel 2021 contiamo di aprire altri punti Cime di Rapa – Urban nel centro e nord Italia, mentre i Food Truck di Cime di Rapa – Street continueranno a girare per le piazze italiane. Ogni tassello che aggiungiamo al progetto ne genera automaticamente altri come in un’economia circolare e questo ci fa capire che il progetto è sulla buona strada”.

La pandemia ha creato problemi?

“Abbiamo inaugurato i Food Truck a maggio 2019, per poi fermarci a marzo 2020. Il primo ‘Cime di Rapa Urban’ a Lecce è stato aperto a Settembre 2020, tra la prima e la seconda ondata. Certo, l’emergenza Covid ha obbligato a rallentare il passo ma il 2021 non fa paura: Martina Franca, Maruggio, Alberobello, Matera, Roma, Bologna saranno le prossime tappe dove sarà possibile assaporare i nostri prodotti. Cime di Rapa diventerà una catena di street food nazionale con piatti biodiversi, servizio rapido e continuo dalle 8 alle 24 in cui il cliente potrà assaporare piatti unici della tradizione e conoscere la cultura della cucina italiana. Approfittiamo di questo rallentamento per sperimentare nuovi piatti, consultare vecchi ricettari di cucina popolare e soprattutto formare nuove brigate per le prossime aperture”.

(ITALPRESS).

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