VENEZIA (ITALPRESS) – Una storia di successo e anche una storia di disgrazia e clamorosa ingiustizia: è quella di Enzo Tortora, il popolare conduttore televisivo accusato di collusione con la camorra da un pentito e finito in galera oltre che sulla gogna mediatica. La racconta Marco Bellocchio, già altre volte straordinario illustratore e indagatore delle questioni politiche e sociali italiane degli anni ’80 e ’90, in “Portobello”, la serie HBO di cui vengono presentate alla Mostra del Cinema le prime due puntate. La vicenda è nota ma merita di essere raccontata nei dettagli, anche perché rappresenta un’ombra non da poco sulla coscienza italiana: un giornalista e conduttore televisivo dal carattere indipendente e poco conciliante che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 inventò per la RAI il successo strepitoso di “Portobello” e fini incredibilmente in manette il 17 giugno del 1983, con l’accusa infamante di associazione alla Camorra e spaccio di droga.
A interpretare Tortora c’è Fabrizio Gifuni, come sempre perfetto nella sua capacità mimetica, offrendo una trascrizione puntuale del suo timbro vocale, della gestualità garbata e puntuale che lo caratterizzava. La vicenda umana e professionale di Tortora, che Bellocchio non esita a definire tragica, perché condurrà alla morte del conduttore nel 1988, un anno dopo la sua definitiva assoluzione, viene ricostruita nella serie con puntualità di dettagli e ampia capacità drammaturgica. Bellocchio è interessato al Caso Tortora come specchio in cui riflettere una volta di più le contraddizioni italiane, raccontando la storia di un uomo “vittima di un inspiegabile errore compiuto da giudici onesti, in buona fede, che combattevano la criminalità, ma che non vollero vedere, accecati da un’idea missionaria di giustizia, e che, ancora più inspiegabilmente, non vollero riconoscere il proprio errore”, dice il regista.
La serie lavora molto sulla definizione del protagonista ma anche delle figure di contorno, a partire da quella di Giovanni Pandico (interpretato da Lino Musella), il camorrista dissociato che lo accusò. I primi due episodi si dividono tra la narrazione del crescente successo popolare di “Portobello” e l’arresto avvenuto nella notte del 17 giugno 1983, ruotando in parallelo attorno alle vicende carcerarie di Raffaele Cutolo e soprattutto del suo scrivano di fiducia, figura di piccolo cabotaggio nell’organigramma camorristico, che proiettava la sua frustrazione sul successo dell’odiato Tortora. All’origine c’era la vicenda di qualche centrino spedito dall’uomo alla trasmissione in conto vendita ma senza esito: da qui inizia la disgrazia di Tortora che, al culmine del successo, si ritrova in una cella di Poggioreale, con addosso le telecamere di quella televisione di cui era stato una delle massime figure. Nei due episodi visti a Venezia, Bellocchio costruisce una rete di relazioni capace di offrire un quadro preciso del carattere puntuale e corretto di Tortora, della sua attenzione nei confronti della gente comune.
E il personaggio serve al regista per definire ovviamente quella scena politica e sociale italiana sulla quale sta lavorando da tempo: “Dissero che Enzo Tortora era un liberale che non veniva dal popolo e che era un borghese molto presuntuoso”, sottolinea Bellocchio. “Il fatto poi che non avesse padrini, non era protetto né dalla D.C. né dal P.C.I., le due grandi chiese di allora, non appartenesse a logge massoniche, era laico e perciò anche la Chiesa diffidava di lui, insomma non godeva di nessuna protezione, lo danneggiò”. “Portobello” è una serie di 6 buntate da un’ora che sarà trasmessa nel 2026.
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