A Venezia in prima mondiale la fantascienza di “Dune”

VENEZIA (ITALPRESS) – La fantascienza tetragona del canadese Denis Villeneuve applicata al pianeta di sabbia che ha cambiato il volto della letteratura fantascientifica: Venezia 78 rivela finalmente al mondo la nuova faccia cinematografica della celebre saga di “Dune”, scritta a metà degli anni Sessanta dall’americano Frank Herbert. Già portato sullo schermo quasi quarant’anni fa da David Lynch, in un kolossal che all’epoca apparve improbo e oggi gode comunque dello status di cult d’autore, il ciclo e ora affrontato con il vigore spettacolare e produttivo necessario da Denis Villeneuve in questo sul attesissimo film. Al Lido, dove viene presentato in prima mondiale, non c’è sostanzialmente film più atteso e l’accoglienza è stata calorosa: quello che abbiamo visto è il primo capitolo di un dittico che riduce per lo schermo il primo romanzo della saga herbertiana: il secondo è attualmente in preproduzione, mentre è annunciata una serie che dovrebbe metter mano agli altri capitoli. L’approccio adottato da Denis Villeneuve è tarato su una spettacolarità altisonante e profonda, in cui i toni della tragedia classica si innestano naturalmente con le tematiche che il romanzo sviluppa sottotraccia: da una parte c’è una storia di imperi stellari, di casate nobiliari che governano pianeti come fossero feudi, di discendenze segnate dal destino del comando, di tradimenti e amori che segnano la storia; dall’altra c’è una sensibilità spirituale che si incarna in un messianesimo stellare, la tensione ecologista da anni sessanta, innervata di argomentazioni lisergiche, la riflessione sul rapporto tra il potere e la libertà dell’individuo. In scena c’è l’esile presenza di Timothée Chalamet, che è un Paul Atreides inaspettatamente carismatico: la vicenda ruota su di lui e sul suo destino di liberatore dei Fremen, la popolazione indigena del pianeta sabbioso Arrakis tenuta in soggezione dagli Harkonnen, crudele popolo che sfrutta il pianeta e la sua sabbia, chiamata “spezia” e usata come preziosissima droga in grado di allungare la vita e dare poteri di veggenza.
Paul è il principe ereditario della casata Atreides governata da suo padre, il duca Leto (interpretato da Oscar Isaac con il suo solito piglio austero), ma nelle sue vene scorre anche il sangue della madre (Rebecca Ferguson), sacerdotessa di un ordine millenario di sole donne che tramano nell’ombra dell’Impero per assicurare la continuità della vita, preparando l’avvento di un uomo destinato a portare pace e armonia nell’universo. Il film entra subito nel suo pieno spettacolare, innervando sin dall’inizio tutte le trame che compongono il plot: la partenza dal pianeta natale degli Atreides, segnata dal forte sospetto di una trappola ordita dall’Imperatore ai danni della casata, allunga ombre cupe su uno scenario che del resto si spinge nenne classiche tonalità oscure della visione fantascientifica di Villeneuve. A differenza dell’ormai lontano film di Lynch, che era caratterizzato da una visionarietà più lisergica e artificiosa, il Dune di Denis Villeneuve è pregno delle forme tetragone che caratterizzano il suo cinema, monoliti semoventi, strutture magniloquenti e leggere, che il regista mette in efficace relazione visiva con l’elemento sabbioso che caratterizza il pianeta Arrakis. Villeneuve evita di dare visibilità piena agli enormi vermi che si muovono sotto la sabbia del pianeta, preferendo concentrare l’attenzione sulle dinamiche psicologiche, drammatiche della vicenda. Questo si traduce un un film pensoso, quasi introflesso, anche se non privo di ampie scene di guerra stellare, combattimenti corpo a corpo coreografati con efficacia, effetti visivi affascinanti. Siamo insomma in presenza di una fantascienza che si prende sul serio e cerca di sfruttare in toto il materiale offerto dalla preziosa saga di Frank Herbert.
(ITALPRESS).

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